La marchigianità di Neri Marcorè

Chi se lo ricorda timido ma già dotato di un’energia e di una capacità di “tenere” il palco fuori dal normale già alla prima puntata di Stasera mi butto, sa che su Neri Marcorè si poteva solo scommettere. Un azzardo che ai botteghini avrebbe portato una vincita davvero irrisoria: quasi come puntare sul fatto che il sole sorga ogni mattina. Ci sono persone che riescono a catalizzare su di sé l’attenzione e l’attore elpidiense è tra queste con la sua semplicità, la sua gentilezza, la sua simpatia, il suo essere un non personaggio. Sembra quasi che, nonostante oggi sia una tra le firme più importanti del cinema italiano, entri sempre in punta di piedi, con la forza però di chi può anche parlare a bassa voce perché la platea si ferma per ascoltarlo. Passato dalle imitazioni a ruoli molto più impegnativi sul piccolo e sul grande schermo, Neri Marcorè è uno dei simboli più belli e positivi della marchigianità, tanto da essere stato scelto proprio in questi ultimi mesi come testimonial dalla Regione Marche, succedendo a Dustin Hoffman.

Uno dei personaggi più amati, nato come comico e diventato oggi un attore impegnato di fama riconosciuta: Neri Marcorè oggi è il testimonial delle nostre Marche.

Neri Marcorè e le Marche: ci racconta questo binomio?
“Marchigiano di Porto Sant’Elpidio, dove sono nato e cresciuto, così come marchigiane sono le origini della mia famiglia: i miei nonni materni erano di Macerata e Recanati, poi si spostarono in Molise, dove nacque mia madre, prima di rientrare qualche anno più tardi; gli altri nonni e mio padre invece erano di Capodarco di Fermo. Figlio unico ma con tanti amici vicino casa, la campagna dietro, il mare a poca distanza, tutti e quattro i nonni a un tiro di voce, gli anni della mia fanciullezza e adolescenza sono stati placidi e stimolanti, protetti eppure liberi, ne ho ricordi meravigliosi”.

Per alcuni l’idea di crescere in provincia non è affatto allettante. Lei cosa ne pensa?
“Crescere in una piccola realtà di provincia potrà non essere esaltante per qualcuno, ma io penso abbia tantissimi vantaggi. Tutto è a misura d’uomo, c’è un maggiore contatto con la natura, una solidarietà tra le persone, tra le famiglie vicine, che considero più importante degli svantaggi che possono derivare dalla visibilità reciproca costante. Noi ragazzini godevamo di una sorta di rete di protezione sociale, oltre che familiare, e tanti erano gli esempi da seguire (o non seguire), tante le guide (gli adulti, gli anziani) alle quali rivolgersi. I valori che puoi ricevere, negli anni della formazione, da una società di questo tipo, fondata sulla famiglia, sulla solidarietà reciproca, ma anche sull’importanza del gioco e dell’esplorazione di quello che è attorno a te, è fondamentale nel momento in cui ti trovi poi a dover affrontare il mondo più grande che ti aspetta; può essere relativo a seconda dei casi, ma personalmente sono arrivato alla maturità dotato di un corredo ben sviluppato con cui decodificare il mondo esterno, persone e sistemi più complessi. Certo, quelli in cui sono cresciuto io erano anni diversi, ma è vero che le Marche anche oggi restano un’oasi particolare: non abbiamo mai avuto particolari problemi di criminalità e delinquenza, c’è un grado di convivenza civile molto alto e un benessere tutto sommato diffuso. Negli anni 80-90 poi la nostra era davvero una terra ricca di opportunità da un punto di vista occupazionale e sono cresciuto imparando che solo attraverso il lavoro, non rinunciando ai piaceri della vita, si potevano realizzare le proprie aspettative”.

Traspare veramente un amore profondo per la sua terra da questi racconti…
“Sinceramente io mi sento davvero fortunato ad essere cresciuto qui. È un posto magico, dove anche la fantasia trova il terreno giusto per potersi esprimere. Sarà stato forse l’avere il mare sempre davanti agli occhi, ma diventava naturale immaginare altro, orizzonti più ampi, spingersi oltre i limiti di quel che si poteva vedere e toccare. Ovviamente per chi aveva l’ambizione di superarli, questi limiti.”


Gli anni dell’università e poi Roma, l’avventura nel mondo dello spettacolo…com’è cambiato nel tempo il suo rapporto con le Marche?
“Mi sono progressivamente allontanato dal mio paese, prima frequentando il liceo linguistico ad Ancona, poi trasferendomi a Bologna per studiare alla Scuola per Interpreti e Traduttori. Se non avessi iniziato la carriera artistica, anziché spostarmi a Roma sarei sicuramente rimasto a Bologna; in ogni caso i legami prescindono dalla distanza fisica e quello che ho con le Marche non si è mai interrotto, né si interromperà. Intanto, qui vive ancora mia madre e tanti cari amici, quelli con i quali sono cresciuto. Sfrutto qualsiasi opportunità o pretesto per tornare qui, sia a livello personale che professionale. Tra queste, accettare l’incarico di direttore artistico del Teatro delle Api: contribuire con l’esperienza e le amicizie artistiche di questi 20 anni a rendere più interessanti (e meno onerose) possibile le stagioni teatrali, in stretta collaborazione con l’amministrazione locale e l’Amat. Essere il testimonial della Regione Marche, tra l’altro, è anche conseguenza di un percorso e di un rapporto che mi lega da tempo alle istituzioni locali, proprio perché difficilmente mi tiro indietro quando si tratta di promuovere la mia regione, la mia terra”.

Lasciamo per un attimo il Marcorè marchigiano e parliamo dell’artista. Come è iniziata la sua carriera?
“Come spesso succede, per caso. Mi divertivo da sempre a fare imitazioni e per gioco ho deciso di partecipare nel 1990 a “Stasera mi butto”. Il gioco poi però si è trasformato in una cosa seria perché arrivando in finale, ho avuto l’opportunità di entrare nel cast del programma “Ricomincio da Due”, ogni domenica pomeriggio su Rai2, prima con Raffaella Carrà e poi con Giancarlo Magalli. Da zero, in due anni, mi sono ritrovato ad avere un’esperienza di oltre 100 puntate in diretta: un battesimo di fuoco, visto che ero l’unico dilettante tra i finalisti di “Stasera mi butto”, e la televisione era (ed è) sicuramente il traguardo più ambito per chi già lavorava come cabarettista e voleva farsi conoscere di più”.

E come ha vissuto questa esperienza quasi inaspettata?
“Proprio perché quest’occasione mi è arrivata senza perseguirla spasmodicamente, me la sono vissuta con gran leggerezza, senza rinunciare alla grinta e al divertimento dell’impegno: un atteggiamento tranquillo di chi non aveva nulla da perdere ma tutto da guadagnare, cosciente del fatto che se questa strada si fosse interrotta avrei sempre fatto in tempo a tornare a occuparmi di traduzioni. E visto che a 23 anni di distanza ancora non si è interrotta…”.

Ma davvero lei non aveva mai pensato, neanche come un sogno, ad una carriera artistica?
“Qualche contatto col mondo dello spettacolo in realtà c’era stato. Avevo partecipato ad un quiz radiofonico a Radio Aut, nel quale avevo cantato. Giancarlo Guardabassi, che conduceva, mi ha chiesto di unirmi al cast del suo show, che girava tra piazze e teatri, e la mia prima volta su un palco quindi è stata a 12 anni. Cantavo le canzoni dei Bee Gees. Qualche anno più tardi avevo imparato anche a destreggiarmi con la chitarra. E poi due anni prima di “Stasera mi butto” avevo anche partecipato alla “Corrida”. Quindi diciamo che seppure da dilettante il mondo dello spettacolo non mi era del tutto sconosciuto e magari qualche recondita ambizione di poterne far parte c’era, ma la strada che avevo scelto era diversa e non l’avrei abbandonata senza quelle opportunità di cui ho parlato. Opportunità che però non sono piovute dal cielo ma che mi sono procurato, quindi qualche responsabilità diretta ce l’ho… Mi piacevano i comici come Troisi, i mattatori come Sordi, Gassman, istrioni come Proietti, mi interessava il doppiaggio ma non ne sapevo niente realmente. Mentre studiavo a Bologna avevo comunque iniziato a fare qualche speakeraggio di filmati industriali, mi piaceva in generale lo studio e l’uso della voce. È stato solo a Roma poi, mentre facevo già televisione, che ho iniziato a fare doppiaggio a tutti gli effetti grazie alla pazienza di Michele Gammino, che mi faceva assistere al suo lavoro, quindi a imparare mese dopo mese, prima di farmi esordire in quei turni che vengono definiti di “brusio”.

Torniamo di nuovo alle Marche e al suo ruolo di testimonial. Sicuramente un messaggio positivo la scelta di far raccontare un territorio a chi proprio qui è nato e cresciuto e quindi sa bene di cosa parlare…
“La dirigenza della Regione ha fatto una scelta concettualmente opposta a quella di Hoffman testimonial, scegliendo non uno straniero che ha scoperto le Marche e se n’è innamorato, ma un marchigiano naturalmente fiero della sua terra che possa contribuire a farne innamorare chi ancora non la conosce.
Le due scelte completano il quadro, secondo me. Che poi tra i tanti marchigiani conosciuti sia stato scelto io, è qualcosa che mi inorgoglisce e al tempo stesso mi responsabilizza ancor più. È una regione che ha tanti pregi, un paesaggio unico e vario nel raggio di pochi chilometri (mare, collina e montagna) e tutto sommato ben conservato, una cultura e un’industria enogastronomica in crescita, le abbazie, i luoghi di culto, i tanti teatri, i borghi antichi, le rievocazioni storiche,
le manifestazioni sportive, i concerti… Le Marche hanno tantissime declinazioni: non è un caso che siamo l’unica regione d’Italia declinata al plurale”.

Da testimonial, se dovesse consigliare un posto da vedere ed un piatto da assaggiare?
“Indicare un luogo da vedere piuttosto che un altro o un piatto da mangiare in particolare sarebbe limitativo, oltre che ingiusto: ogni zona ha le sue caratteristiche e cavalli di battaglia e stare qui ad elencarli tutti sarebbe noioso. Posso dire che non abbiamo solo piatti dop ma anche luoghi dop.
Un capitolo a sé meritano i vini: un tempo ai vini di qualità si associavano altre zone d’Italia, come ad esempio Piemonte, Toscana e Trentino. Da qualche anno invece le nostre bottiglie stanno guadagnando posizioni di primissimo piano e premi internazionali. Le Strade del Vino rappresentano un ulteriore motivo di prestigio e attrazione della nostra regione. In buona sostanza, dovessi dare un consiglio al turista, sarebbe quello di lasciarsi andare senza una meta precisa, lasciarsi sorprendere dalla nostra terra, dai suoi scorci, dalla sua magia… quasi chiudendo gli occhi, non fosse poi un peccato tenerli chiusi. Le Marche le puoi girare con qualsiasi mezzo: a piedi, in macchina, in bicicletta, in moto… e vale la pena visitarle tutte, provincia per provincia, paese per paese, e quando si è stanchi fermarsi a rifocillarsi e riposare magari in un caffè di una piazza medievale o rinascimentale”.