Servigliano, la città dell’utopia
La parola utopia risuona come un richiamo a mondi lontani e alla volontà di costituire un altrove migliore. Come spesso accade, però, l’altrove è già qui, a pochi passi da noi: Servigliano, nelle nostre Marche, rappresenta un eloquente esempio di città ideale e utopica.
La fascinazione del modello utopico sta già nel suo nome, che condensa in sé un duplice significato: un buon luogo, e quindi un mondo ideale, e insieme un non luogo, uno spazio che non esiste ma che il racconto utopico non manca di descrivere nei minimi dettagli. L’ambivalenza è tutta giocata sulla U iniziale che può rifarsi a due particelle greche: “eu”, avverbio che significa “bene” o “ou” che esprime una negazione.
Il pensiero utopico ha storicamente giocato un ruolo centrale nella pianificazione urbanistica nella misura in cui si fa garante di un’assoluta regolarità: il suo elemento centrale è un razionalismo estremo in cui è l’ordine a farla da padrone, in cui ogni elemento è sottratto all’accidentalità e al caos, in cui tutto è coerentemente organizzato e coordinato. Ogni edificio deve essere concepito razionalmente sulla base delle funzioni che vi si devono svolgere e la planimetria della città deve essere geometricamente regolare.
A questa logica non si sottrae la città di Servigliano, Comune in Provincia di Fermo, che estende le sue meraviglie tra i 189 e 447 metri di altitudine. La sua fondazione risale al I secolo a. C., ad opera di un tribuno di Gneo Pompeo il Grande, Publio Servilio Rullo, ma la sua fisionomia subì, nel corso del tempo, profonde modifiche. L’inarrestabile frana che colpì la collina su cui si ergeva il paese costrinse ad una ricostruzione ex novo nelle zone in piano sottostanti, ovvero quelle in prossimità del convento dei Minori Osservanti. La decisione dell’edificazione di un nuovo centro urbano fu suggerita dall’architetto romano Virginio Bracci, assoldato in quanto tecnico ed esperto di scienze idrauliche, dal neo Papa Clemente XIV sollecitato ad intervenire a seguito delle rimostranze e delle suppliche della comunità e delle autorità locali. È del 1771 l’atto di fondazione del nuovo casato disegnato dal Bracci che avrebbe avuto il nome di Castel Clementino, in onore al pontefice che ne aveva promosso e finanziato la ricostruzione.
L’impianto urbanistico a pianta quadrangolare rappresenta un’autentica riproduzione delle utopie urbanistiche settecentesche: Owen, Fourier, Richardson, Cabet, Proudhon sono, con le loro dovute differenze, gli assoluti protagonisti di quel modello di città in cui domina l’idea di progresso e l’ottimismo verso il futuro. Lo spazio urbano, declamano questi autori, deve essere aperto, disseminato di vuoti e di verde e tagliato secondo un’analisi delle funzioni umane: una classificazione rigorosa colloca in luoghi distinti l’habitat, il lavoro, la cultura e il tempo libero. Una logica funzionale che necessita però di tradursi in una disposizione semplice, capace di appagare la vista in modo immediato in virtù di una geometria naturale che concilia estetica e rigore. L’ordine specifico della città utopica viene talvolta espresso con una precisione di dettagli e un rigore tale da scansare la possibilità di variazioni o adattamenti intorno ad uno stesso modello: è questo, ad esempio il caso di Charles Fourier, i cui disegni rappresentano la città ideale con le sue quattro mura di cinta ognuna a distanza di “mille tese” dall’altra, con le sue vie di scorrimento calibrate in modo certosino e le case definite una volta per tutte.
A questi precisi canoni non manca di attenersi l’architetto Bracci. Egli predispone che le mura esterne debbano difendere perfettamente il cuore del centro storico ispirato a quello delle città romane in cui si intersecano due assi, il cardo e il decumano. Il primo è l’asse che, da Nord a Sud, attraversa Servigliano e che unisce Porta Pia a Porta Clementina; il secondo è l’asse che da Est va a Ovest e che, pertanto, dalla Porta Santo Spirito conduce fino alla Chiesa Collegiata di San Marco. Tutte le restanti vie sono ortogonali, con edifici e palazzi che si fronteggiano.
La “nuova Servigliano” cela figure geometriche inattese: una croce ideale viene a manifestarsi costruendo dei quadrati sulle linee tra le porte e la chiesa. Nella testa della croce è ubicata la chiesa, alla sua destra vi è il palazzo comunale, alla sua sinistra avrebbe dovuto sorgere un opificio mentre il corpo della croce è costituito dai palazzi signorili.
Di connotazione utopica è anche il modo in cui il Bracci pensa la divisione e distribuzione delle abitazioni civili attribuendo alle classi sociali spazi specifici, senza per questo comporti una ghettizzazione esclusiva ed escludente. Ad occupare il perimetro quadrato delle città non erano più le mura – che nel tardo Settecento avevano perso la loro funzione e la loro utilità – ma case a schiera di esigua dimensione murate nella parte esterna e aperte in quella interna del centro abitato, destinate ad artigiani, operai e piccoli negozianti. Il centro della città ospitava invece la dimora di alcune importanti famiglie nobiliari, come Palazzo Filoni-Vecchiotti e Palazzo Navarra. Quest’ultimo, peraltro, fu saccheggiato e incendiato nel 1799.
Se è vero allora che l’obiettivo primario delle grandi utopie urbanistiche del Settecento era quello di rincorrere una visione ottimistica della storia e del progresso in nome del principio “dell’armonia universale”, è innegabile che la nuova città fermana custodisca questo intento, che non intende nascondere alle sue genti e ai suoi visitatori.