Sulle tracce degli antichi culti femminili

Percorso tematico sulla dea Cupra, Iside e la Sibilla Appenninica nelle Marche

Attraverso lo studio di questi culti e delle leggende che circolano tra i monti e le valli dall’Appenino all’Adriatico, ci si rende conto di come molti elementi siano ricorrenti. Sibilla, Cupra e Iside sono tutte legate alla profondità e alla terra o alle acque e alle sorgenti (elementi che rimandano sempre all’idea di nascita) e rappresentano un idolo femminile che è insieme simbolo di femminilità, maternità e forza creatrice. Vi proponiamo qui un percorso che ci consente di riscoprire culti arcaici alla base della nostra identità e leggende tramandate da generazione in generazione: un percorso tematico più che fisico, non lineare e purtroppo incompleto poiché di molti luoghi sacri all’aperto non è rimasta traccia e altri sono stati, nel tempo, assimilati da nuove costruzioni cristiane, che dagli antichi culti pagani hanno preso non solo i materiali costruttivi ma anche elementi che si ritrovano nella figura della Vergine.

Sibilla

Partendo dall’Appennino, la prima e più importante figura leggendaria è quella della Sibilla Appenninica: una regina bella e ammaliatrice, veggente ma con una connotazione prevalentemente positiva, non demoniaca come ha tentato di trasfigurarla la tradizione cristiana. Riferimenti a una presenza oracolare compaiono già in epoca preromana. Più tardi, quando il territorio entra sotto la sfera dell’Urbe, la Sibilla venne assimilata alla dea Cibele, la magna mater in grado di generare tutte le cose. La figura della Sibilla compare per la prima volta ben delineata solo nel romanzo cavalleresco Il guerrin meschino di Andrea da Barberino (1410) in cui viene descritta come una diabolica e lasciva maga di nome Alcina: il cavaliere alla ricerca del suo passato si reca nella grotta della Sibilla per consultarla ma viene trattenuto e indotto in ogni genere di tentazione riuscendo a scappare dopo quasi un anno. La duchessa Agnese di Borgogna, incuriosita dalla sua fama, inviò lo scrittore Antoine de la Sale con lo scopo di redigere un diario di viaggio contenente disegni e descrizioni; tuttavia lo scrittore nel suo Il Paradiso della Regina Sibilla può limitarsi a descrivere solo il vestibolo, un ampio spazio circolare con sedili ricavati dalla roccia, poiché all’epoca gli altri vani, che secondo le narrazioni davano verso un regno sotterraneo maestoso, erano già crollati. La Sibilla risiederebbe infatti, in una misteriosa corte sotterranea cui si accede da una grotta, da tempo chiusa per un crollo, situata sulla cima del monte omonimo, nel comune di Montemonaco. Tutte le leggende la legano alle sue fate bellissime, ma dai piedi caprini, che di giorno insegnano alle fanciulle a tessere e filare e di notte frequentano i balli e le feste dei paesi limitrofi. Secondo una di queste leggende la Sibilla avrebbe provocato un intenso terremoto incollerita per il rientro tardivo delle fate dopo una festa. Secondo un’altra leggenda il sentiero delle fate, un acciottolato sul versante meridionale del monte Vettore, si sarebbe creato per la corsa affannosa delle fate che cercavano di rientrare nella grotta prima del sorgere del sole. Sul sito www.montesibilla.it potrete leggere tutte le altre leggende legate alla Sibilla, alle fate e al lagodi Pilato.

Iside

Iside nelle Marche? Ebbene sì, il suo culto era certamente molto diffuso a Treia, nella provincia maceratese. Iside, dea dell’amore, della fertilità, della maternità e della magia, secondo la mitologia egizia riportò in vita l’amato Osiride, o Serapide, dall’oltretomba e, nascosta nelle paludi del delta del Nilo, allevò il figlio Horus e lo esortò a vendicare l’assassinio del padre e a raccogliere l’eredità regale. Templi dedicati alla divinità egizia furono costruiti a partire dal I secolo a.C. a Roma e successivamente in varie parti dell’Impero Romano. Quando il mondo romano subì il fascino delle religioni orientali, Trea, questo l’antico nome di Treia, si dimostrò altrettanto pronta ad accoglierne i culti edificando un Serapaeum, santuario dedicato a Serapide e Iside, nella zona in cui oggi sorge il santuario del SS. Crocifisso. È per questo che Treia fu uno dei centri di propagazione dei culti egizi e che nel suo museo archeologico si possono ammirare straordinari reperti di manifattura egizia.

Nell’altopiano dove ora sorge il santuario un tempo sorgeva l’antica città di Trea, picena e in seguito romana, di cui il Serapaeum, edificato a metà del II secolo d.C., era uno degli edifici principali e più monumentali, caratterizzato com’era da ambienti collegati da una complessa rete idrica intervallata da bacini e cisterne. Qui sono stati rinvenuti reperti di notevole importanza storica e archeologica: un frammento di mosaico policromo con un ibis, uccello tipico dell’iconografia nilotica, la testa e una parte del corpo del dio Serapide di dimensioni poco superiori al vero (prima metà del II secolo d.C.), e due statuette acefale in diorite nera. Queste statuette, risalenti all’età Tardo-Tolemaica (III secolo a.C.) e che dall’abbigliamento sembrano rimandare a figure regali, furono rinvenute nel 1902, in occasione della ricostruzione del SS. Crocifisso danneggiato da un incendio. Gli altri rinvenimenti, compresi i frammenti marmorei di Serapide e una testina femminile, in tutta probabilità raffigurante la dea Iside, sono merito degli scavi condotti alla fine del XVIII secolo da Fortunato Benigni nell’area urbana dell’antica Trea. Potrete scoprire molto di più visitando il museo archeologico di Treia (per informazioni contattare la Pro Loco in C.so Italia Libera, n.11, ai seguenti numeri 0733/215919-0733/217357).

Dea Cupra

Quello della dea Cupra è invece un percorso molto più complicato in quanto il culto della divinità era certamente diffuso in un’area molto vasta, comprendente quasi tutta l’Italia centrale, ma di esso oggi ci rimangono poche tracce. Cupra è una divinità encoria umbra e picena, dea ctonia, della profondità, delle acque e della fecondità, unica divinità femminile nota del pantheon piceno venerata già dal IX secolo a.C.

Cupra, era chiamata anche Cubrar (in umbro), Ikiperu (in piceno), Kypra o Supra. Il nome deriverebbe da Cipria, nome latino con la quale era talvolta designata Afrodite, dall’isola di Cipro in cui, secondo la mitologia, nacque. Sarebbe dunque facile identificarla con Afrodite-Venere, ma non mancano identificazioni anche con la dea Hera-Giunone (Strabone), con la Bona Dea (Varrone), con la fenicia Astarte o la Uni degli etruschi. Nei resti archeologici di area umbra-marchigiana è spesso accompagnata dall’epiteto mater, quindi è certamente facile assimilarla alla Bona latina.

Tra i reperti che ci consentono di riscoprire il suo culto, le quattro lamine bronzee del IV secolo a.C., conservate nel museo di Colfiorito. Esse testimoniano l’importanza del culto nella zona. La dea è descritta come Matres Plestinas. La lamina di Fossato di Vico della seconda metà del II secolo a.C., conservata presso il museo archeologico di Perugia, invece, conferma il suo legame con l’acqua e la fecondità. Vi è, infatti, inciso in umbro Cubrar Matrer Bio Eso, cioè “questa conduttura appartiene alla madre Cupra”. Dalle testimonianze epigrafiche si è dedotto che dei veri e propri santuari sorgevano certamente a Cupramontana e Cupra Marittima, città distanti ma collocate in una direttrice, tra l’Adriatico e l’Appennino, in cui vi erano importanti scambi commerciali e culturali grazie alla circolazione di mercanti e pellegrini. Il santuario di Cupra Marittima, secondo Strabone edificato dai Tirreni, forse in quella che è l’area dell’attuale pieve di San Basso, richiamava pellegrini da tutto il mediterraneo e rimase un luogo di culto per molto tempo se l’imperatore Adriano lo fece restaurare nel 127 d.C. come testimonia la lapide marmorea conservata nella chiesa di S. Martino a Grottammare. Del santuario della dea a Cupramontana rimangono pochissime notizie: probabilmente fu edificato intorno al V secolo a.C. nella zona dell’attuale cimitero dove sorgeva l’antico abitato. Per scoprire di più su questo antico culto si può consultare www.cupramadre.it

di S. Brunori

Immagini di Stefano Treggiari e dell’Ufficio Cultura del Comune di Treia