La patata di Palmiano, un prodotto eccezionale dalla storia travagliata
Dalle Americhe a Palmiano…. un viaggio lungo e tortuoso raccontato nel libro di Marco Corradi
La patata di Palmiano è uno dei prodotti di eccellenza della Regione Marche. Ricca di proprietà antinfiammatorie e antiossidanti, questa patata prende il nome dal piccolo borgo medievale situato nella provincia di Ascoli Piceno dove è coltivata. Il territorio dei Monti Sibillini in cui cresce, ricco di minerali, le dona il suo caratteristico sapore. Un prodotto eccezionale che però ha impiegato diverso tempo per arrivare sulle tavole ed essere pienamente apprezzato.
La storia travagliata di questa patata è raccolta nel libro scritto da Marco Corradi. Scandagliando liste della spesa dei monasteri e dei casermaggi, così come le liste dei rimborsi che spettavano a chi ospitava le truppe di passaggio in un determinato territorio, l’autore ci racconta che della patata non vi è stata alcuna traccia per lungo tempo. Sebbene fossero frequenti periodi di carestia, la patata per diversi secoli non fu presa in considerazione come alimento. Le motivazioni per cui la popolazione, anche in momenti di ristrettezza, decise di non inserire la patata nella propria dieta, erano i più disparati. Prima di tutto, questo tubero non veniva consumato in modo corretto, assomigliando al tartufo veniva impiegato in cucina allo stesso modo e ciò lo rendeva inevitabilmente poco apprezzabile. La sua forma inoltre, ricordava i bubboni della peste e quindi assumeva di conseguenza una valenza negativa. Veniva poi associato alla mandragola, perché la ricordava nel suo aspetto. Dunque, così come la pianta utilizzata nella stregoneria, veniva considerata maligna. Il fatto di nascere sotto terra era visto come qualcosa di oscuro e misterioso. Inoltre, l’assenza di questo tubero nelle sacre scritture lo rendeva necessariamente un frutto proibito.
Nel corso del 1700 studiosi, medici e uomini di Chiesa cominciarono a condurre una campagna di sensibilizzazione rivolta soprattutto alle fasce di popolazioni più povere, illustrando gli aspetti positivi della patata quali la lunga conservazione, il basso costo e le importanti proprietà nutritive. Tra i primi nomi illustri che sponsorizzarono la patata vi fu Alessandro Volta, ma il suo sforzo rimase inascoltato.
Verso la fine del Settecento sette studiosi scrissero sette libretti in cui spiegavano le proprietà nutritive di questo tubero, con l’obiettivo di sensibilizzare i regnanti all’utilizzo della patata per combattere la fame. Uno di questi studiosi, un medico napoletano, Baldini, piuttosto noto perché era stato incaricato dai Borboni di affrontare un piano di emergenza per la lotta alla fame, scrisse un documento per il Regno di Napoli che invitava la popolazione ad inserire la patata nella propria dieta. Successivamente, gli venne chiesto dall’Abate Colucci, illustre storico delle Marche, di poter realizzare una ristampa del documento aggiungendovi una premessa, in cui veniva sottolineato l’esito sfavorevole dei diversi tentativi di coltivazione della patata portati avanti fino ad allora. Il volume venne pubblicato nelle Marche nel 1796.
L’indagine compiuta da Marco Corradi si sposta nei mercati locali dove nei documenti relativi si trova una prima presenza della patata nel 1820, per poi sparire nuovamente. Nel report relativo al periodo che va dal 12 al 18 ottobre del 1828 l’autore ci riferisce una notizia interessante. Sul documento viene scritto: “le patate non si vendono facendo in questo territorio una coltivazione tenuissima” che ci fa capire come ad Ottocento inoltrato la coltivazione della patata sia ancora poco presente nel territorio marchigiano.
Un’ulteriore spinta alla coltivazione della patata si ha con l’Unità di Italia, quando vengono costituiti i consorzi agrari, formati i comizi agrari, avviate le scuole di agricoltura itineranti e divulgati i bollettini con le novità in tecnica agricola, concimazione e potatura. Le nozioni per migliorare l’agricoltura iniziano a circolare, ed insieme a questi diventa sempre più pressante l’invito alla piantagione della patata. Siamo alla fine dell’Ottocento e la patata ancora fatica ad essere coltivata.
Il momento decisivo, la vera e propria svolta è uno dei momenti più drammatici della storia d’Italia ma decisivo per la storia di questo tubero. Scoppia la Prima Guerra Mondiale e la patata viene inserita nel rancio dei soldati. Questo comportò prima di tutto la garanzia per i coltivatori di vendere quel bene, che veniva prenotato in anticipo dal Ministero della guerra e poi, in secondo luogo, l’abitudine al consumo e ad apprezzarne la qualità. Senza questa scelta forse la patata non avrebbe avuto il posto importante che ha oggi nella nostra cucina e nelle nostre abitudini alimentari, divenendo piatto e base per molti prodotti tipici. É dunque con questa scelta che si comincia a consumare la patata, un consumo via via crescente fino a quello attuale che in Italia si aggira intorno ai 38 chilogrammi pro capite all’anno. Da questo momento si cominciò ad ottimizzare la produzione agricola secondo climi e altitudini e la patata trovò nel territorio dei Sibillini un luogo adatto per crescere e sprigionare tutte le sue qualità.
Oggi grazie all’impegno e alla dedizione del sindaco di Palmiano, di tutta l’amministrazione e della Pro loco, a tutela di questo prodotto è nato nel piccolo borgo dell’ascolano il Consorzio Pata Sibilla che riunisce una decina di aziende agricole che producono, commerciano e promuovono la patata che nasce sui Sibillini. Un prodotto di elevata qualità, reso tale grazie all’impegno e all’attenzione dei suoi produttori che la coltivano senza l’utilizzo di sostanze chimiche. Un prodotto tipico e di qualità elevatissima che viene celebrato al “Patata dei Sibillini Fest”, un festival interamente dedicato a piatti a base di patate, che si tiene ad inizio settembre nel più piccolo comune della provincia di Ascoli Piceno.
di S. Cecconi