Il tempo sospeso della vita monastica
Lo scalpiccio delicato che attraversa il chiostro accompagnato dal fruscio delle tonache, il richiamo della campanella per le preghiere delle ore canoniche, lo sfregare sulle stoviglie sporche dopo i pasti nel refettorio, il canto sommesso e devoto delle laudi durante la celebrazione della messa e la navetta e il pettine del telaio che velocemente intrecciano l’ordito e la trama. Questi e molti altri sono i suoni che accompagnano il silenzio della vita monastica, senza davvero interromperlo ma anzi rendendolo più solenne e armonizzandosi con esso.
A Serra de’ Conti, in Provincia di Ancona, un museo custodisce le testimonianze tangibili della laboriosità, del labora, che per secoli (precisamente dal 1586) ha accompagnato la preghiera delle monache dell’ordine di Santa Chiara del Monastero di Santa Maria Maddalena.
Il Museo delle Arti Monastiche, situato nel complesso del Palazzo Comunale, a ridosso del monastero, vanta una collezione unica di ceramiche, utensili da cucina, contenitori in vetro per la spezieria, ricami, pizzi al tombolo, disegni ornamentali per paramenti sacri e tanto altro. Utensili e manufatti originali, alcuni dei quali risalenti perfino al XVIII secolo, che sono sopravvissuti alle intemperie storiche, tra cui le razzie e le confische napoleoniche. Ma non si tratta di oggetti inerti e inanimati, bensì dell’impronta concreta di un microcosmo, quello monastico, che fa da scenario per uno stile di vita unico nel suo genere, quello claustrale, fatto di contemplazione, preghiera, raccoglimento, ma anche di un’incessante attività manuale umile ma non per questo dozzinale. Al contrario, il sapere monacale comprendeva un insieme di lavorazioni dall’altissimo valore artigianale, dall’arte della spezieria a quella della tessitura e del ricamo, passando per la produzione di fiori di seta e la ceroplastica. Un patrimonio inestimabile per il territorio che accoglie il monastero.
Il Museo delle Arti Monastiche esalta in modo particolare questo strettissimo rapporto. Le sale dello spazio espositivo, a cui si accede dopo un coinvolgente percorso di tipo interattivo e teatrale, conservano i nomi degli ambienti del monastero da cui sono stati tratti gli oggetti esposti: la spezieria, la cucina, il lavoriero e aiutano a immergersi nella vita quotidiana delle monache e comprenderne la storia, che inevitabilmente si intreccia con quella del territorio circostante: il monastero infatti, nonostante l’ovvia natura di riservatezza e chiusura, sapeva aprirsi al resto della comunità offrendole il suo sapere. Per intere generazioni le donne del paese si sono recate al monastero per imparare le più svariate arti, come il cucito e la lavorazione del cuoio. Tradizioni che sono perdurate nei secoli e che hanno saputo evolversi col tempo. Serra de’ Conti infatti ha ospitato e ospita tuttora i frutti di quel sapere antico in fabbriche e aziende che operano ormai con tecniche moderne e all’avanguardia, ma che ebbero lo slancio iniziale da chi diligentemente aveva raccolto gli insegnamenti impartiti dalle monache del Monastero di S. Maria Maddalena.
Il monastero era il punto di riferimento della cittadina, spirituale ma anche materiale, come abbiamo visto. Per Serra de’ Conti rappresenta ancora oggi un centro nevralgico della sua identità, nonostante il trasferimento della comunità monastica nel 2012. A testimonianza della forza di questo rapporto basti citare un’iniziativa promossa dal museo durante l’emergenza del Covid-19: una serie di cittadini ha superato la timidezza mettendo a disposizione la voce e i ricordi per raccontare e spiegare alcuni degli oggetti presenti all’interno del museo. Un antico macinino da caffè dalla meccanica quasi fantascientifica, suppellettili da cucina e ricettari che custodiscono le usanze culinarie delle monache, bossoli usati durante l’elezione della badessa, campanelle e battistangole che fungevano da richiami negli spazi del monastero. Sono solo alcuni dei reperti riportati in vita dalla memoria collettiva, valicando le mura del monastero per diventare patrimonio di tutti.
Il museo si presenta con l’evocativo nome aggiuntivo di “Le stanze del tempo sospeso”. Un’espressione pregna di significato, che non rimanda solo all’aspetto archeologico e archivistico, ma a una più profonda concezione del fluire del tempo, che è quello monastico. Giornate scandite in modo rigoroso tra le ore canoniche della preghiera e gli offici quotidiani di cucina, pulizia e amministrazione, seguendo la massima monastica per eccellenza: ora et labora. Giornate vissute nel silenzio che aiuta ad ascoltare voci più profonde, che scappano via nella frenesia del mondo di fuori ma che nel raccoglimento della clausura sembrano quasi urlare il significato profondo della vita nella sua spiritualità. È questo il lascito più autentico e ricco che trova chi osserva le stoviglie, i vestiti, le provette, le cassapanche, gli armadi e tutto ciò che rimane di quella comunità. È un modo per visitare strati profondi della memoria. C’è chi passando davanti un antico telaio rievocherà una scena d’infanzia con la nonna china su quel grande macchinario di legno, che quasi magicamente riesce a mettere ordine tra centinaia di fili; o chi studiando la tabella oraria usata come memento per tutte le mansioni giornaliere delle monache si sorprenderà non solo nello scoprire l’incessante brulichio della loro attività, ma riandrà con la memoria alle giornate dei nostri avi, che iniziavano col sole ancora incerto dell’aurora e terminava soltanto nel profondo della sera.
Scoprire i segreti della vita monastica, al di là di ogni convinzione religiosa, è un modo per conoscere la storia e la vita dei nostri antenati e della nostra terra.
di F. Cantori
Ph © Museo delle Arti Monastiche