Lo spirito che scolpisce la roccia
La suggestione del Tempio del Valadier, incastonato nella pietra
Genga è un luogo dove la pietra si fa viva. Sembra che un alito divino abbia attraversato la roccia, modellandola per regalare agli esseri umani uno spettacolo che li lasci a bocca aperta. Questo è un pensiero facile da concepire mentre ci si addentra nelle profondità delle grotte di Frasassi, scolpite dal lento trascorrere del tempo, dal lavorio incessante dell’acqua, fino a renderla una gigantesca cattedrale del sottosuolo, con le sue guglie e le sue colonne.
Spirito che permea la terra e la plasma. Ma molto prima che le grotte di Frasassi venissero scoperte, c’era già chi aveva avvertito che questo paesaggio favoloso era nato per essere consacrato alla spiritualità, alla meditazione e alla preghiera. Papa Leone XII, al secolo Annibale della Genga, nato proprio in questo piccolo borgo, non poté fare a meno di immaginare un luogo preposto al raccoglimento sacro e alla cura dell’anima, da ricavare tra la natura incontaminata della sua terra. Oggi possiamo ammirare il risultato di quel proposito. Basta percorrere un comodo sentiero di circa 800 metri in lieve pendenza. Non avvertiremo la fatica, anche perché troppo intenti a contemplare le ripide pareti rocciose chiazzate di verde della Gola della Rossa e di Frasassi.
Giunti in cima, quello che ci si para davanti ha del prodigioso. Sarebbe facile urlare al miracolo. Incastonato in una profonda grotta che si apre tra la roccia, troviamo di fronte a noi il Tempio del Valadier. Voluto, come detto, da Papa Leone XII, il tempio fu realizzato nel 1828. Autore dell’opera fu il grande architetto romano Giuseppe Valadier, di cui avvertiamo immediatamente il gusto neoclassico nella costruzione. La forma dell’edificio, ottagonale, fa rassomigliare il tempio a un diamante che spicca tra la ruvida pietra. Ad accrescere questa sensazione, il colore chiaro del travertino risalta in mezzo al grigio che lo circonda. La cupola rivestita di piombo sfiora la volta della grotta, l’opera dell’uomo e quella della natura si lambiscono, pur rimanendo distinte.
L’interno del tempio, semplice e armonico, è occupato da un sobrio altare in cui è posizionata una statua raffigurante la Madonna con il bambino. Si tratta di una copia che lascia comunque vedere con chiarezza la bellezza dell’originale, realizzata da Antonio Canova e conservata nel museo di Genga “Arte, storia e territorio”.
A fianco del tempio, troviamo un’ulteriore testimonianza del rapporto tra la nuda roccia e l’architettura spirituale che caratterizza Genga. Ricavato in parte scavando la parete su cui poggia, sorge l’Eremo di Santa Maria Infra Saxa. Si tratta di un monastero femminile abitato nell’antichità da monache benedettine. Le prime testimonianze scritte che provano l’esistenza dell’eremo risalgono addirittura al 1029. La conferma che a Genga i luoghi dell’anima sono sempre sorti a contatto con la pietra.