Dove la Flaminia valica il punto più impervio dell’Appennino
Uno dei migliori e più rari esempi di tunnel di epoca romana
La potente azione erosiva del fiume Candigliano, nel corso di circa quindici milioni di anni, ha dato vita ad uno dei più suggestivi scenari naturali delle Marche e non solo. Si tratta della Gola del Furlo, oggi Riserva Naturale Statale, un vero e proprio canyon racchiuso tra i monti Pietralata e Paganuccio, le cui pareti scendono a strapiombo nelle acque del fiume. Situato nella provincia di Pesaro-Urbino, tra Fermignano e Acqualagna, questo luogo, oltre al suo impatto visivo, vanta una straordinaria ricchezza dal punto di vista naturalistico, con una flora ampiamente diversificata e una notevole biodiversità faunistica dove spicca l’aquila reale, animale simbolo della riserva.
Inoltre, rappresenta un vero e proprio atlante che illustra duecento milioni di anni di storia geologica dell’intero Appennino Umbro Marchigiano. La Gola del Furlo è il risultato di un processo di antecedenza: la gola è stata incisa, anche grazie alla presenza di fratture e faglie, dal corso d’acqua contemporaneamente al sollevamento della dorsale appenninica. Le formazioni rocciose del Giurassico che affiorano nella Gola del Furlo ne fanno uno dei giacimenti fossili più ricchi e famosi d’Europa.
In questo luogo magico, la forza della natura ha incontrato l’ingegno dell’uomo rendendo questo luogo interessante anche dal punto di vista storico e viario.
Il suo nome Furlo si deve infatti proprio all’intervento dell’uomo. Nel I secolo d. C. per volontà dell’imperatore Vespasiano gli ingegneri romani incisero un “forulum” (piccolo foro) nella roccia per consentire un più agevole passaggio nel tratto più impervio della via Flaminia. Da qui il nome Furlo.
La conquista del Furlo da parte dei Romani avvenne nel 295 a.C., dopo aver sbaragliato la confederazione italica a Sentino (l’odierna Sassoferrato).
L’antica strada consolare romana, costruita dal censore Gaio Flaminio Nepote, che collegava la capitale dell’Impero a Rimini, passava lungo la Gola già dal 220 a.C. L’antica strada si insinuava nell’impervia strettoia tra i monti Pietralata e Paganuccio, a sinistra del fiume Candigliano, un percorso già frequentato in epoca preromana e che camminava sul ciglio del dirupo verso il fiume ed era soggetto a frequenti cedimenti. Il corso del fiume Candigliano e i monti che lo cingono rappresentavano un ostacolo da abbattere. Un efficiente, duraturo e agevole sistema stradale era infatti uno strumento imprescindibile per l’espansione territoriale romana.
Una rete viaria efficiente garantiva infatti la rapidità dei movimenti delle legioni e la celerità delle comunicazioni fra Roma e il resto dell’impero. Una volta assicurata la pace, le strade permettevano traffici e relazioni fra città e popoli, scambi culturali ed economici nonché reciproche influenze.
Le strade romane erano pensate per durare a lungo riducendo al minimo la manutenzione. Per ottimizzare le distanze i Romani cercavano di costruire quando possibile strade rettilinee e nelle zone pianeggianti, una regola che veniva seguita sistematicamente; quando questo non era possibile, perché avrebbe comportato salite molto ripide e difficilmente praticabili vennero costruite alternative più lunghe, ma meglio percorribili dai veicoli. Tendenzialmente, per tenersi al riparo dalle inondazioni, evitavano di percorrere i fondovalle e le rive dei fiumi. Ma non sempre ciò era fattibile. In questi casi estremi, allora interveniva il genio militare costruendo complesse opere di ingegneria. Tra queste vi è senza dubbio la Galleria del Furlo.
Per consentire il passaggio dei carri e delle macchine da guerra, i romani scavarono interamente a mano muniti di solo scalpello questo varco nella roccia calcarea. Le tracce lasciate dallo scalpello sulle pareti, tutt’ora visibili, sono in direzione opposta dalle due aperture verso il centro della galleria, aspetto che racconta il modus operandi degli scalpellini romani che, per accelerare i lavori, iniziarono a scavare contemporaneamente da entrambi i lati della galleria.
Inoltre, per migliorare ancora di più la percorribilità di questo tunnel, tagliarono un costone di roccia sul fianco del monte Pietralata per allargarne la sede stradale e a causa della pendenza e della curvatura della galleria furono necessarie ulteriori opere di sostegno e consolidamento. I lavori di realizzazione durarono cinque anni.
Al disopra dell’ingresso nord-orientale della Galleria è visibile l’iscrizione che ne attribuisce la paternità all’imperatore Vespasiano e data il compimento dell’opera tra il 76 e il 77 d.C.: IMP(erator) CAESAR AUG(ustus) – VESPASIANUS PONT(ifex) MAX(imus) – TRIB(unicia) POT(estate) VII IMP(erator) XVII P(ater) P(atriae) CO(n)S(ul) VIII– CENSOR FACIUND(um) CURAVIT. “L’imperatore Cesare Augusto Vespasiano, pontefice massimo, nell’anno della sua settima potestà tribunizia, acclamato imperatore per la diciassettesima volta, padre della patria, console per l’ottava volta, censore, provvide che venisse costruito”.
Con l’inizio della crisi dell’Impero romano, a partire dal III secolo d.C., e la successiva discesa dei Longobardi, la Flaminia iniziò a perdere il suo valore di itinerario commerciale e, percorsa da truppe di militari e da briganti in cerca di facile bottino, divenne, in questa zona della gola del Furlo, un punto di transito difficile ed estremamente insidioso. Il rischio di cadute di massi, l’incuria e la pericolosa presenza di malviventi, rimasero una caratteristica costante per i secoli successivi. Solo nel 1860, dopo che il Furlo fu entrato a far parte del nuovo stato unitario, il luogo fu liberato dalla presenza dei briganti.
La galleria, percorribile ancora oggi, è lunga circa trentotto metri, larga al massimo cinque, alta quasi sei ed è priva di rivestimento. Le sue dimensioni ne fanno una delle gallerie più grandi mai costruite dai romani. L’opera rappresenta uno dei migliori e più rari esempi conservati di tunnel di epoca romana presenti lungo dei tracciati stradali.
di S. Cecconi