Alberico Gentili: un maceratese nell’Inghilterra elisabettiana

Gentili

Le Marche e l’Inghilterra di Elisabetta I, l’Inquisizione, l’esilio, i circoli culturali e politici di corte, la solidità del diritto e le controversie della religione: no, non sono i succulenti ingredienti di una nuova e avvincente serie tv, ma l’affascinante scenario su cui si staglia la figura di Alberico Gentili, considerato come uno dei padri della giurisprudenza internazionale.

È il freddo gennaio del 1552 e in una San Ginesio ancora stremata dall’epidemia di peste che si era abbattuta ad inizio secolo, veniva alla luce Alberico Gentili, l’uomo destinato a rivoluzionare la storia del diritto moderno. Il padre Matteo, medico ed alchimista e la madre, Lucrezia Petrelli, provenivano entrambi da nobili famiglie del maceratese ed in terra ginesina assicurarono al loro primogenito un’infanzia e un’adolescenza pressoché serene, sebbene fuori dalle mura domestiche divampassero le lotte di parte che agitavano la vita delle Marche così come di altre province dello stato della chiesa. La laurea in diritto civile presso lo Studium di Perugia nel 1572 sarà la prima di una lunga serie di traguardi di una brillante carriera intellettuale e giuridica, in cui la luce dei successi professionali sarà offuscata soltanto dalle vicende politiche e sociali del tempo. Dopo aver ricoperto per tre anni la carica di podestà in terra ascolana, il Gentili ritornerà nella sua città natale per ricoprire la professione di avvocato del comune e per portare a termine l’incarico che gli era stato affidato di riformare gli statuti civici. Solamente due anni dopo, tuttavia, Alberico fu costretto a rivedere i suoi piani. La scure che pesava sulla testa dei Gentili prendeva il nome di eresia e non avrebbe lasciato loro scampo se Matteo e i suoi figli fossero rimasti sul suolo che li aveva finora accolti.

La microstoria ginesina si interseca con le vicende dell’Inquisizione e della Riforma che in quegli anni imperversavano in tutta Europa. La constatazione da parte dei padri gesuiti che San Ginesio fosse un rifugio per luterani e la consapevolezza che avrebbero dovuto utilizzare tutta la loro forza di persuasione per riportare alla confessione e alla comunione nella chiesa maggiore i numerosi cittadini che si erano allontanati dai sacramenti, non furono sufficienti ad evitare al paese due importanti processi per eresia. Uno di questi interessava proprio il padre di Alberico che, dannato dalla mala fama, fu costretto all’esilio in terra straniera insieme a due dei suoi otto figli, Alberico e il fratello Scipione. In cerca di protezione, i Gentili si rifugiarono presso i centri culturali più prosperi dell’epoca. A Lubiana, prima tappa dell’esilio, i tre furono protetti dal fratello di Lucrezia, Nicola Petrelli, giurista e castellano di Trieste per incarico di Ferninando II. Tra il 1579 e il 1580 per i tre fu tempo di separarsi così da permettere ai figli di raggiungere città più adeguate ai loro studi. Lasciato il fratello a Tubinga, Alberico decise di sostare prima ad Heidelberg, poi a Neustadt e, infine di fermarsi definitivamente a Londra.

San Ginesio_Gentili

In Inghilterra, gli anni ’80 del Cinquecento furono contrassegnati da una serie di complotti contro la vita di Elisabetta I. Il mondo delle ambasciate londinesi era divenuto un crocevia di spie e di talpe coinvolte nelle trame della politica internazionale europea, dove la competizione tra Francia e Spagna per l’egemonia continentale si intrecciava con le lotte confessionali tra stati cattolici e stati protestanti, coinvolgendo il papato come tessitore occulto di alleanze politiche e conflitti religiosi. Qui Alberico riuscì ad essere introdotto nei potenti circoli di corte grazie al contatto con Giambattista Castiglione, medico milanese e maestro d’italiano per la regina Elisabetta. Sarà proprio Castiglione, insieme ad un cattedratico di teologia e vicecancelliere di Oxford, a far sì che il Gentili sia cooptato nell’ordine dei dottori della prestigiosa università e abilitato a tenervi lezioni e conferenze. Il carisma, la solida preparazione giuridica e il brillante modo di pensare di Alberico non passarono di certo inosservati agli occhi di sua maestà che nel 1587 lo investì della nomina di Regius Professor of Civil War ad Oxford.

La sua levatura intellettuale fu decisiva anche in una vicenda di intrighi e cospirazioni che interessò la corona inglese. Un incidente diplomatico perpetuato ai danni di Elisabetta I, indusse la regina a condannare a morte l’ambasciatore spagnolo Bernardino de Mendoza, inviato dalla Spagna come rappresentante regio. L’accusa era quella di spionaggio e la sentenza sembrò subito chiara: la morte. La possibile condanna di Mendoza, tuttavia, aprì una controversia per la quale fu richiesto l’aiuto dei più influenti giuristi dell’epoca: Gentili e un certo Jean Hotman che furono concordi nel riconoscergli il diritto all’immunità diplomatica derivante dal suo status. Questa occasione sarà il pretesto per scrivere una delle sue opere più importanti, il De legationibus, dove per la prima volta vengono tracciati i confini del diritto internazionale. Questo testo, insieme al De iure belli che scriverà più di dieci anni dopo, ebbe una notevole influenza su pensatori del secolo successivo del calibro di Ugo Grozio.

Vissuto all’ombra della corte inglese, animato da una fede profonda e da un’idea forte della comunità umana, Alberico Gentili si presentò come un giurista controcorrente, intrepido e spavaldo. Al di là del suo ruolo fondamentale nella formazione del diritto internazionale e della teoria politica moderna, il significato più profondo e autentico della sua opera va rintracciato nel rifiuto del fondamentalismo ideologico, nell’apertura al pluralismo culturale e nell’accettazione del pragmatismo politico.

di A. Lucaioli