Ciak si gira: le Marche al cinema
Quando viviamo un’esperienza filmica o pensiamo ai grandi attori e registi che ne hanno fatto la storia, la nostra mente corre veloce oltreoceano e in particolare a Hollywood, conosciuta non a caso come la “Mecca del cinema”. Senza avere la presunzione di assurgere ad un titolo pari a quello conferito al distretto californiano, anche le Marche si sono date il loro bel da fare e hanno offerto un contributo importante all’arte cinematografica italiana restituendo al patrimonio culturale nazionale uno specchio fedele della nostra “marchigianità”.
Giocando con l’assonanza fonetica inglese di sight (vista) e site (luogo), lasciamo che lo sguardo filmico girovaghi a zonzo per le cine-città della nostra regione ripercorrendo anche le tappe storiche che hanno portato all’approdo del cinematografo nel nostro territorio.
È l’11 ottobre del 1896 quando il Caffè Centrale di Ancona ospita la prima rappresentazione cinematografica delle Marche: nei mesi a venire toccherà a Macerata, San Severino, Pesaro, Fano, Civitanova Marche, Jesi, Camerino, Matelica e Cupramontana accogliere l’invenzione del secolo suscitando lo stupore e l’apprezzamento delle classi popolari della regione. Lo studioso Alberto Pellegrino ne ricostruisce la meraviglia recuperando uno stralcio del quotidiano locale dell’epoca “L’Ordine – Corriere delle Marche” del 12 ottobre 1896 in cui si legge: «Iersera al Caffè centrale si è avuto il primo esperimento dell’interessante e divertente apparecchio denominato il Cinematografo, per cui è proiettata su una parete bianca una scena della vita animata, e cioè persone che si muovono, carrozze che corrono, treni che arrivano ecc. e si ha perfetta illusione di assistere ad un fatto reale». Sarà solo tra il 1907 e il 1930, tuttavia, dopo dieci anni di espansione sul territorio grazie a compagnie ambulanti, che il cinema riuscirà a consolidarsi attraverso vere e proprie sale cinematografiche dislocate nei centri urbani di maggior rilievo della regione. A questa diffusione più capillare non corrispose, tuttavia, un consenso universale sulla levatura intellettuale e morale dello strumento. Per potersi affermare definitivamente, il cinema dovette fronteggiare da una parte la pubblica morale del tempo, che vedeva nel nuovo dispositivo un possibile veicolo di corruzione, violenza e pornografia; dall’altra, le reticenze della classe intellettuale che originariamente lo considerava solo un divertimento volgare, destinato alla povera gente incolta. Reticenze che gli intellettuali furono disposti ad accantonare anni dopo, nel primo decennio del Novecento, quando iniziarono a considerare il cinema come una settima arte, riconoscendone finalmente l’importanza sociale, estetica ed economica.
Da qui in avanti, si assistette al progressivo fiorire di talentuosi registi marchigiani: Ivo Illuminati e Mario Mattoli sono solo due esempi del prodigio nostrano. Il primo, nato a Ripatransone, è considerato un pioniere del cinema muto italiano, a cui va il merito di aver utilizzato un linguaggio espressivo originale capace di differenziarsi nettamente dai più rilevanti registi dell’epoca.
Al secondo, originario di Tolentino, la storia del cinema nazionale deve estrema riconoscenza: Mattoli non fu solo produttore di una considerevole quantità di opere cinematografiche, ma fu anche colui che portò al successo due attori fino a quel momento relegati nell’ombra, ovvero Totò e Macario.
La rilevanza artistica del nostro territorio non si riduce però soltanto ai luoghi natii di registi e attori talentuosi ma emerge, anche e soprattutto, dall’eleganza e dall’umiltà dei suoi paesaggi. Ne è la prova tangibile Ossessione, film di Luchino Visconti del 1943, ambientato per buona parte in Ancona. Considerato il capostipite del neorealismo italiano, la pellicola trae ispirazione dal romanzo di James M. Cain “Il postino suona sempre due volte” e narra l’amore tormentato fra Gino, vagabondo di bell’aspetto che trova ristoro in uno spaccio-osteria della bassa Padana, e Giovanna, sposata con il proprietario del locale. I due divengono presto amanti ma quando Gino propone alla sua amata una fuga d’amore, Giovanna rifiuta e lui parte alla volta di Ancona dove spera di imbarcarsi e lasciarsi alle spalle la delusione subita. Al di là dell’intreccio narrativo, che qui non sveleremo oltre per indurvi a vedere il film qualora non lo conosciate, la grandezza di Ossessione è dovuta al ruolo di primo piano che riveste il capoluogo della regione con il porto, il molo Santa Maria, il panorama dorico che esplode dal Duomo di S. Ciriaco ma, ancor più, lo scalone Nappi e Palazzo d’Avalos che saranno successivamente spazzati via dal bombardamento del ’43.
Meno celebre ma non per questo meno significativo fu invece il film di Augusto Genina Cielo sulla palude, realizzato nel 1949 e incentrato sulla beatificazione della corinaldese Maria Goretti. Il film, ingiustamente ricondotto nel filone dell’agiografia, si rivela, al contrario, anticonvenzionale e complesso nella misura in cui, anziché focalizzarsi sulla presunta santità della protagonista, si concentra su elementi che vanno a consolidare i tratti caratteriali del marchigiano così come è raffigurato nell’immaginario collettivo: modesto, umile, docile, discreto. Ne emerge dunque una figura di santa per certi versi anomala, perché antieroica, umile e modesta nonostante il martirio.
La pellicola, oltre a far vincere al suo regista il premio del Nastro d’Argento nel 1950 è stato inserito tra i “100 film italiani da salvare”: un progetto realizzato all’interno della mostra del cinema di Venezia che si pone come obiettivo quello di segnalare le pellicole che hanno cambiato la memoria collettiva dell’Italia tra il 1942 e il 1978.