Come niente, esordio alla regia di Davide Como
Come Patty Pravo mi cambiò la vita”
Quando la vita sembra seguire un suo percorso prestabilito, quando i sogni sono un lontano ricordo, un’illusione ormai da accantonare, all’improvviso una rivelazione. E così è iniziato il percorso artistico di Davide Como, come un’improvvisa folgorazione. Anconetano, classe 1988, al suo esordio alla regia nel film “Come niente”, interpretato da personaggi già noti al mondo del cinema come Franco Oppini e dalle giovanissime attrici marchigiane Valentina Bivona e Greta Mecarelli, Davide Como porta sugli schermi delle principali piattaforme digitali una commedia famigliare girata a Pievebovigliana, una delle aree colpite dal sisma del 2016.
“Come niente” è stato accolto con gran calore dal pubblico e dalla critica cinematografica. Come è nata l’idea di questo film?
Il film nasce da un’idea di Fabrizio Saracinelli, produttore della Guasco, società di produzione cinematografica indipendente di Ancona, che, trovandosi in quelle zone per un altro progetto, era rimasto incantato da quel paesaggio, purtroppo poco frequentato dopo il terremoto del 2016. Nel frattempo ero un suo studente all’Accademia Poliarte, dove Saracinelli insegnava Produzione. Per una serie di circostanze e cambiamenti di regia, proprio Fabrizio mi chiese di prendere in mano la regia del film (con sceneggiatura affidata a Giulia Betti). Io, che stavo per diplomarmi, avevo già lavorato nel cinema come assistente e girato cortometraggi, ma “Come niente” è la mia opera prima a tutti gli effetti.
Per quanto tempo hai girato in questi luoghi? Come è stata accolta la troupe e come hai trovato la gente che vive qui?
Siamo partiti da maggio 2020 con i casting. “Come niente” è stato uno dei primi film a partire in Italia perché abbiamo iniziato subito dopo il lockdown. Le riprese ci hanno impegnato per circa trenta giorni, confinati nell’eremo Beato Rizzerio, a Muccia, a pochi chilometri da Pievebovigliana. Per questioni di sicurezza tutto era blindato, dovevamo evitare qualsiasi contatto con l’esterno. Siamo arrivati in questi luoghi in punta di piedi, cercavamo di dare meno fastidio possibile, considerando anche il particolare momento storico in cui ci trovavamo a girare, ma siamo stati accolti benissimo e con grande calore.
Come è avvenuta la scelta degli attori?
La sceneggiatura dà delle linee guida sulle caratteristiche del personaggio, che poi il regista può anche riadattare. Per quanto riguarda gli attori, abbiamo organizzato dei casting solo per le protagoniste: volevamo che fossero necessariamente marchigiane. Abbiamo indetto un casting online dove abbiamo ricevuto oltre 400 candidature, che poi sono scese a due per ogni personaggio. Appena ho visto dal vivo interagire Valentina e Greta ho detto: “Sono loro”. Franco, invece, che avevo avuto modo di conoscere grazie alla collaborazione di entrambi con la Guasco, è stata una scelta obbligata: da quando ho iniziato a lavorare in questo modo ho sempre voluto dirigerlo. Sul set è stato fantastico: portava sempre il sorriso, anche durante giornate impegnative e sollevava l’umore di tutti. Il casting completo è stato curato dal direttore casting Victor Carlo Vitale, mentre per trovare i minori che avrebbero dovuto interpretare i ragazzi del paese ci siamo affidati a Etra Accademia delle Arti Sceniche e Visive di Camerino. Il bello del cinema è anche questo: dove vai porti lavoro, soldi alle persone. Speriamo che la Regione Marche inviti più case di produzione a girare in questi luoghi meravigliosi. Qualcosa si sta muovendo: si stanno girando film ad Ascoli e a San Benedetto; speriamo di proseguire su questa strada.
Il film affronta tematiche molto diverse tra loro, ma ugualmente profonde e toccanti, in particolare per la nostra regione. Il sisma, in primis, ma anche il tema del bullismo, della disabilità, della malattia psichiatrica.
Ho voluto proprio che il film nascesse così, che toccasse temi delicati, ma con leggerezza, che non è superficialità. “Come niente” è stato definito dalla critica un “film delicato”, adatto a ogni età, un film generazionale. C’è un bellissimo sottotesto, adatto a chi ha una forte sensibilità. È la storia di un nonno che ha in affido queste due nipoti per l’estate, due giovani donne che vengono finalmente rappresentate oggi nel cinema, due ragazze indipendenti che rincorrono i propri sogni, non legati all’amore, ma al raggiungimento dei propri obiettivi. Per me è stata una sfida. Ho scritto sempre i miei cortometraggi, questa è la prima volta che ho girato qualcosa (tra l’altro un lungo) che non ho scritto io. Un film è come un figlio: hai responsabilità e gli dai i mezzi per affrontare il mondo. Ho provato la sensazione di essere un genitore adottivo. Hai un film che è come un ragazzino adolescente, che hai adottato e ha già una sua personalità, un suo vissuto. Tu puoi solo indirizzarlo, mostrargli la strada. La sceneggiatrice Giulia Betti è la mamma biologica, io sono il papà adottivo: ho avuto questa sensazione mentre ero in fase di montaggio, ore e ore in cui il film prende vita.
Ci racconti un aneddoto o una curiosità relativa al film?
Ricordo bene una scena meravigliosa con protagonista la mia feticcia Angela Lello. La feticcia, nel mondo del cinema, è l’attrice ricorrente di ogni regista. In questo film Angela interpreta un personaggio aperto, che non è definito, lasciato all’immaginazione del pubblico in base al proprio vissut. Una donna misteriosa che incontra la bambina. Per rappresentarla mi sono ispirato a Monet e al suo dipinto “Donna con il parasole”, nel costume e in tutte le sembianze. C’è questa scena, in cui Angela arriva in accappatoio e si posiziona al centro della strada, pronta per girare. Si era diffusa una grande attesa in tutto il set per l’arrivo di questa attrice che, appena lasciò scivolare l’accappatoio e si mostrò in tutta la sua luminosa bellezza, diede vita a una vera e propria magia: tutta la troupe, ammaliata, aveva improvvisamente iniziato a fotografarla, perché nessuno prima l’aveva mai vista con quell’abito. Si era creata un’attesa incredibile. Un momento di vera magia e lì, in quella scena, ho messo la mia firma come regista. Il cinema è questo: far sognare e creare dei personaggi che rimangano vivi nella mente delle persone.
Quale è stato il percorso che ti ha portato dietro la cinepresa?
Nasco in una famiglia umilissima di operai che mi ha sempre insegnato il senso del dovere, del lavoro. Ho vissuto un’infanzia difficile, ho sofferto la lontananza emotiva dai miei genitori che dovevano occuparsi di mio fratello minore, che ha una disabilità. Poi, crescendo, mi sentivo sbagliato, non riuscivo ad accettarmi. A scuola ho subito atti di bullismo e tutto questo mi ha fatto credere di non valere nulla. Dopo aver frequentato l’istituto alberghiero, ho iniziato subito a lavorare come barista, ma non ero felice. Il caso volle che iniziai a collaborare con il fan club del mio idolo Patty Pravo, per cui giravo dei video dei suoi concerti destinati ai fan. Per tre anni ho lavorato destreggiandomi tra il bar e le riprese, acquistando sempre più fiducia in me, fino a quando decisi di licenziarmi e intraprendere un nuovo percorso di vita. Mi sono liberato della mia crisalide e mi sono iscritto all’Accademia Poliarte a ventotto anni, investendo i soldi della liquidazione del mio lavoro precedente nelle tasse d’iscrizione e nell’acquisto di una telecamera. Ho iniziato a fare qualche esperienza sul set, come assistente di produzione prima, come assistente alla regia poi. Nel frattempo giravo cortometraggi totalmente indipendenti. Ora i miei genitori sono i miei più grandi sostenitori.
A quali progetti stai lavorando ora?
Sto terminando la post produzione del mio terzo cortometraggio muto e partirò per la Calabria per dirigere un cortometraggio. A maggio, invece, ne girerò uno allo Sferisterio di Macerata. Il mio progetto più grande è scrivere il mio lungometraggio: ho già in mente la storia.
di I. Cofanelli