Flaminia e Salaria. Le strade consolari romane nelle Marche
Un esempio di efficienza nella viabilità della regione
“Tutte le strade portano a Roma” recita un popolare proverbio italiano, e aggiungiamo, da Roma portano ovunque… Il detto trae origine dall’efficiente sistema stradale costruito dai romani e su cui ancora oggi si basa il sistema viario italiano. I romani per scopi politici, militari e commerciali costruirono lunghe strade per collegare le più lontane province alla capitale dell’Impero.
Le arterie fondamentali del sistema viario romano nelle Marche sono le strade Flaminia e Salaria: una vera e propria spina dorsale per la comunicazione nella regione.
La Via Flaminia è la strada consolare romana che collega Roma a Rimini e che oggi nel tratto Roma-Fano è denominata Strada Statale 3 Via Flaminia. Questa strada venne costruita nel 220 a.C. dal censore Gaio Flaminio Nepote, da cui prende il nome, e fu terminata nel 219 a.C. È stata la prima e per molti secoli l’unica via di collegamento tra Roma e il nord Italia. Partendo dalle Mura serviane in Roma, la Flamina attraversava Lazio e Umbria e giungeva nelle Marche passando per il passo della Scheggia (oggi comune della Provincia di Perugia), attraversando gli Appennini. Proseguiva lungo la valle del Burano, raggiungendo Cantiano e Cagli (nella provincia di Pesaro Urbino) fino alla Gola del Furlo. I romani qui costruirono nel 76 d.C., per volontà dell’imperatore Vespasiano, una galleria che permetteva un più agevole passaggio nella Gola, ed è la stessa dove oggi transita la Strada Statale 3. La galleria è uno dei rari esempi di tunnel scavato nel calcare compatto mediante scalpello. I romani non si fermarono però a scavare una galleria pur di realizzare la loro impresa, ma, affinché la Via Flaminia potesse essere facilmente percorribile, tagliarono un costone di roccia sul fianco del molte Pietralata per allargare la sede stradale e rendere il percorso più agevole. L’attuale Via Flaminia in questa zona ricalca pressoché l’antico percorso: la Flaminia moderna, infatti, corre accanto a quella antica alla sinistra del fiume Candigliano. Attraversata la Gola del Furlo, la Via Flaminia proseguiva in direzione di Fossombrone, di Fano, raggiungendo e terminando a Rimini. In entrambe queste due città è presente l’Arco di Augusto che segna a Fano il punto di accesso alla città dalla Via Flaminia e il suo termine a Rimini.
La Via Flaminia giungeva all’Adriatico anche attraverso una variante che partiva da Nocera Umbra, solcava il confine tra Umbria e Picenum e, passando per San Severino Marche, giungeva ad Ancona. Dalla città portuale si ricongiungeva poi al ramo principale.
Le tracce dell’antica Via Flaminia e il passaggio dei romani sono visibili lungo il suo tratto marchigiano in diversi punti. A Pontericcioli, località di Cantiano, ai piedi del Monte Catria, è visibile il ponte a tre archi costruito dai romani, mentre a Cagli, il ponte Mallio, sovrastava il torrente Bosso. Nella Gola del Furlo i resti della Via Flaminia emergono a pochi metri dalla sponda del fiume: grandi blocchi di calcare bianco fungevano da sostegno all’antica infrastruttura. A Fossombrone gli scavi archeologici hanno riportato alla luce parte della consolare Flaminia, oltre a numerosi edifici, resti di una cinta muraria, terme e molti altri reperti che insieme costituiscono oggi il Parco archeologico Forum Sempronii.
L’altra via consolare romana che attraversa le Marche è la Salaria. Quest’antica strada collegava Roma a Porto d’Ascoli. Fondata dai Sabini nel III secolo a.C., fu acquisita e migliorata dai romani. È oggi nota come Strada Statale 4. Il miglioramento e la ricostruzione parziale della Via Salaria è avvenuta nel 290 a.C. ad opera del console Manio Curio Dentato, per adeguarla agli standard di costruzione dei romani. Il suo nome, diversamente dalle altre strade consolari romane, prendeva origine dall’uso che se ne faceva. La Via Salaria veniva infatti utilizzata per il trasporto del sale dal mare verso l’interno. La Via Salaria abbandonava le mura Aureliane e dopo aver toccato Rieti, raggiungeva le Marche scendendo nell’ampio altipiano della conca amatriciana, proseguendo il suo percorso nella Valle del Tronto, incontrando le località di Accumoli, Pescara del Tronto, Arquata del Tronto, Acquasanta Terme, Ascoli e terminava il suo tragitto a Porto d’Ascoli.
La Via Salaria e la Via Flaminia erano collegate attraverso due principali itinerari secondari denominati Salaria Gallica e Salaria Picena. Alcuni studi, relativamente a queste direttrici secondarie, si basano su ipotesi e ricerche in attesa di una conferma archeologica. Secondo alcune fonti la Salaria Gallica collegava la Via Flaminia all’altezza di Jesi con la Via Salaria probabilmente nel punto in cui oggi si trova la chiesa di San Salvatore ad Arquata del Tronto. Dopo aver attraversato i Sibillini, procedeva in direzione Urbisaglia e proseguiva verso nord-est. Altri studi sostengono invece che la Salaria Gallica si agganciasse alla Flaminia a Fossombrone e incrociasse la Salaria all’altezza dell’odierna Ascoli Piceno.
La Salaria Picena invece, collegava l’odierna Martinsicuro con Ancona, riallacciandosi in quest’ultima città alla variante della Via Flaminia e raggiungeva quindi Fano. Il percorso della Salaria Picena coincide parzialmente con l’attuale strada statale 16 Adriatica. Le due diramazioni della Salaria sembra fossero collegate da una via di raccordo realizzata, secondo recenti fonti, da Marco Ottavio Asiatico. Ad attestarlo sarebbe Lapis Aesinensis, un cippo iscritto rinvenuto nel 1969 in località La Chiusa di Agugliano, tra Jesi e Ancona, e datato tra il 31 e l’1 a.C. Si ipotizza che la Via Octavia collegasse la Salaria Gallica con la Salaria Picena nel tratto che va dalla città di Jesi ad Ancona in località Santa Maria di Posatora o Torrette. Al momento la ricostruzione dell’itinerario della Via Octavia risulta alquanto problematica per l’apparente assenza di tracce topografiche ed è quindi ancora oggetto di studio.
Nonostante alcune informazioni in nostro possesso siano ancora da verificare, possiamo affermare che le opere realizzate dai romani hanno permesso una viabilità estremamente funzionale nella regione e hanno rappresentato la base per quella odierna. Quello romano rimane il più efficiente e duraturo sistema viario, tanto che ancora oggi ne percorriamo i suoi tracciati. Nessuno seppe eguagliarli prima e dopo, nemmeno oggi, sebbene i mezzi tecnici a nostra disposizione siano di certo più avanzati, come la capacità di scelta dei percorsi e le tecniche di costruzione. Forse sarebbe bene, voltarsi indietro, per prendere esempio dalla loro maestria, cura e celerità.
di S. Cecconi