Il bosco e l’Eremo dei Frati Bianchi
Suggestioni e antiche storie cristiane nel cuore verde di Cupramontana
Tra il centro di Cupramontana e la sua unica frazione, Poggio Cupro, si allarga una macchia di verde. Una zona boschiva appartata e silenziosa, attraversata da un sottile torrente, chiamato Corvo. Si tratta di una piccola oasi che interrompe le vaste distese di campi coltivati che dominano il paesaggio di Cupramontana. Nella gola del Corvo l’uomo sembra non essere arrivato, frenato da pareti scoscese, spesso impervie, difficili da commutare in appezzamenti agricoli. La natura ha quindi potuto crescere spontanea, indisturbata, lasciando che si sviluppassero specie rare, che hanno reso il bosco un’area floristica protetta. Dagli alti e affusolati tronchi dell’ontano nero si diramano fronde che ombreggiano il suolo, attraverso cui filtra luce sufficiente per far crescere ampi tappeti di capelvenere, che ricoprono il terreno, dal quale spuntano fiori di sorprendente bellezza, come il giglio rosso e l’orchidea piramidale.
Questo paesaggio ameno è conosciuto con un nome ben preciso: il Bosco dei Frati Bianchi. A cosa si deve tale denominazione? Ebbene, la fitta vegetazione custodisce un luogo di grande fascino e interesse storico, l’Eremo dei Frati Bianchi, da cui il bosco mutua il nome. L’enigma sembra però soltanto rimandato. Chi sono questi frati bianchi? Il riferimento è al candido saio che contraddistingue gli appartenenti all’Ordine dei Camaldolesi, che in una radura del bosco costruirono, intorno all’anno Mille, un monastero, che rappresenta una delle più importanti testimonianze dell’antica storia cristiana nelle Marche. Questo ambiente paradisiaco, pacifico e silente, deve essere sembrato ideale ai monaci per farne la loro dimora. Un luogo perfetto per la contemplazione e la preghiera, lontano da ogni irrequietudine mondana. Una delle caratteristiche principali del monastero è che oltre alla struttura principale, sobria e austera, si articola in numerose grotte, motivo per il quale è conosciuto anche come Eremo delle Grotte del Massaccio. All’interno di queste cavità che si aprono nella nuda roccia, monaci ed eremiti prendevano alloggio. Non possiamo immaginare nulla di più modesto e frugale che trascorrere intere nottate in un simile ambiente. Questo modo di vivere sembra aver lasciato segni intangibili in tutto il paesaggio che circonda l’eremo, soffuso della spiritualità serena e incrollabile di quegli uomini. Una delle grotte è chiamata Cella di San Romualdo, in onore del Santo fondatore dei Camaldolesi. Monaco benedettino di Ravenna, stanco degli intrighi e degli eccessi del suo monastero, Romualdo decise di dedicarsi alla vita eremitica. Durante tutto il suo percorso spirituale cercò di conciliare le tradizioni monastiche occidentali con quelle orientali. Uno dei risultati fu proprio ricavare dormitori e piccole cappelle nelle grotte, al modo degli anacoreti orientali. Ulteriore prova di questa felice comunione di culture diverse è che ancora nel XVIII secolo una grotta dell’Eremo dei Frati Bianchi era chiamata Tebaide, come la regione egiziana in cui ebbe origine l’eremitismo cristiano. San Romualdo è figura centrale nella storia religiosa delle Marche. A lui va infatti attribuita la fondazione di altri centri camaldolesi lungo la valle dell’Esino, come l’Abbazia di Sant’Elena a Serra San Quirico, quella di Sant’Urbano ad Apiro e quella di San Salvatore di Valdicastro, nei pressi di Fabriano, dove il Santo morì nel 1027.
Le grotte dell’Eremo dei Frati Bianchi risultano abitate già dal Duecento da numerosi eremiti. Questa assidua frequentazione portò al loro ampliamento e all’edificazione di altre costruzioni, che andarono a formare, tra il XV e il XVI secolo, un centro culturale molto importante e dinamico, che aveva come punto focale una preziosa biblioteca. L’importanza dell’eremo risulta ancora più evidente se si pensa che qui furono poste le basi per la formazione della Congregazione monastica di Monte Corona, e che tra le sue mura vennero accolti i due frati minori che nel XVI secolo fondarono l’Ordine dei Cappuccini. Purtroppo, con l’occupazione napoleonica prima e un decreto del Regno d’Italia poi, con il quale vennero abolite alcune corporazioni religiose, questo luogo fu sottoposto a saccheggi e spoliazioni. Parte dell’inestimabile eredità culturale e artistica che era germogliata intorno all’eremo è attualmente custodita nella biblioteca comunale di Cupramontana e nella Galleria d’Arte di Jesi, oltre che in varie collezioni private. Il tempo e l’incuria diedero il colpo di grazia allo splendore dell’eremo. A partire dai primi anni del nuovo millennio, come a voler scrivere una nuova pagina di storia, è iniziata però un’attenta opera di recupero e di restauro. La struttura, privata della sua antica funzione religiosa, non ha perso nulla in fascino. Per questo è diventata la sede perfetta per eventi culturali, congressi e mostre. Inoltre, molte sono le coppie che decidono di giurarsi amore eterno tra le mura affrescate della vecchia chiesa del monastero. L’atmosfera magica dell’eremo è d’altronde innegabile, e ha ammaliato personalità illustri. Luigi Bartolini, uno dei più eminenti cittadini di Cupramontana, grande incisore e scrittore (autore tra l’altro del romanzo Ladri di biciclette, da cui Vittorio De Sica ha tratto il suo film capolavoro), ha dedicato numerose poesie a questo luogo, accompagnate da splendidi disegni. Gli ulivi, le querce e gli arbusti del bosco dei Frati Bianchi sembrano vivi e pulsanti nelle acqueforti del maestro. Riprendendo le sue parole: “Io quando incido vedo le cose angelicarsi: e dopo che sono stato due o tre, e talvolta anche dieci ore, ad accendermi, esaltarmi, direi a battermi come un cavaliere di ventura, disegnando, sulla lastra, a piena grand’aria, gli occhi mi si abbacinano.”
Proprio quest’ultima espressione, l’abbacinarsi della vista, sintetizza in modo sublime l’impressione che chiunque può provare addentrandosi nel bosco e nell’Eremo dei Frati Bianchi.
di F. Cantori