Il Cardinale Menichelli: “difendiamo la nostra identità che è fatta di amore”
Il Picchio d’Oro quest’anno non poteva che spettare a lui. un uomo prima ancora che un vescovo e un cardinale, Edoardo Menichelli è la figura che più rappresenta la regione Marche nella sua capacità di accoglienza e di solidarietà, nel rispetto delle radici marchigiane. La giornata delle Marche 2015, celebrata con una cerimonia alla Mole Vanvitelliana di ancona, è concisa con la festa della Madonna di Loreto e con l’anniversario della dichiarazione dei diritti universali dell’uomo. e il Picchio d’Oro della regione è stato consegnato all’arcivescovo di Ancona e Osimo, il cardinale Edoardo Menichelli. Il quale ha tracciato un bilancio dell’anno che ha visto l’arrivo, per lui inatteso della porpora cardinalizia.
Eminenza, la giornata delle Marche appena conclusa e il Natale alle porte, che messaggio vuole dare ai marchigiani?
“Il Natale in quanto tale è già il messaggio, messaggio che parte dal mistero che questa festività ci consegna. E noi come discepoli di Gesù non possiamo dimenticare, cioè abbiamo nella nostra vita la compagnia di Dio.
Il suo mistero si chiama incarnazione, che non significa altro che Dio prende dimora fra di noi. La prima cosa da fare è capire questo e trovate il senso della bellezza della vita. Se questo lo si capisce e lo si introduce nella vita nostra, allora la vita stessa cambia, cambiano le relazioni, cambiano i gesti della vita. E non è più una storia di conflitti e di competitività, ma di fraternità. Ecco come augurio mi sento di dire questo: ridare senso al mistero di Dio”.
Oggi si è perso questo senso del mistero di Dio?
“Quantomeno è dentro un velo di nebbia molto fitta”.
Ha ricevuto il Picchio d’oro, se lo aspettava questo riconoscimento?
“Il Picchio d’oro l’ho preso come un dono, mi ha rallegrato e mi ha responsabilizzato. Ringrazio chi ha pensato a me. È un riconoscimento che mi spinge a dire a me stesso e agli altri che la bellezza della vita non sta nelle grandi cose, ma nella benevolenza e della solidarietà”.
Come si concilia il messaggio di solidarietà con la crescente immigrazione?
“Ci sono due radici da tener presente: la prima è quella universale, siamo tutti radicati nel giardino dove Dio ci ha messo, tutti siamo radicati lì e siamo tutti ospiti. Questo giardino non ci appartiene e dobbiamo viverlo, custodirlo, trarre da esso i frutti della vita e riconsegnarlo. Più c’è un’altra radice: quella esistenziale e personale. Tutti dalla nostra famiglia abbiamo appreso dei valori e questo il popolo delle Marche lo deve ricordare e realizzare. Senza una radice forte, nessuna pianta farà frutti buoni e resisterà al tempo. Purtroppo può succede e qualche volta è successo di pensare la vita come fosse tutto nato adesso, in realtà noi godiamo di quello che i nostri antenati ci hanno dato e consegnato e noi siamo chiamati a irrobustire queste radici per le generazioni future”.
Però spesso si ha paura dell’altro, oggi più che mai …
“Anche a quel tempo ebbero paura di un bambino che nacque. Tanto che quel bambino fu costretto a cambiare terra, ma con il senno di poi si è sperimentato che quel bambino era venuto per amare l’uomo tanto da morire per esso. A me pare che dobbiamo togliere dalla nostra storia la paura, si ha paura quando si è soli, si ha paura quando si è indifesi e solo la fraternità ci fa popolo e di fronte alla consistenza di un popolo la paura non c’è più, perché c’è la fraternità che ci lega. Queste non sono parole, bisogna farle diventare vita”.
Allora la scuola di Rozzano che ha vietato i canti di Natale in nome della laicità?
“Per me tutto questo è superabile se cresciamo in un convincimento: prima di pensare a costruire il mondo chissà come, dobbiamo esser capaci di capire la nostra identità, la nostra non è un’identità di paura, ma di amore. Questo amore non disturba nessuno, cosa disturbano di più gli atti d’amore o la violenza? Se anche il Natale diventa motivo di litigio, allora nulla ha più senso. Bisogna che noi difendiamo l’identità, ma non perché siamo arrabbiati, la difendiamo perché ci crediamo. Oggi spesso il Natale è sovraccaricato di cose al punto da diventare una sfida. Dobbiamo far crescere relazioni che non disturbano. Allora dovremmo in ogni Paese che ha una religione prevalente distruggere i segni degli altri? Questo sarebbe una stupida barbarie”.
Come è cambiata la sua vita da quando Papa Francesco l’ha ordinata cardinale?
“La mia vita non è cambiata, sono sempre quello di prima. Cerco di vivere la mia quotidianità, custodendo la fede che mi è stata donata. Poi ci sono i disegni umani, ma questi contano poco”.
Tra mille impegni il tempo per i fedeli lo trova sempre?
“Gli impegni fanno bene all’esistenza, la vita non ci è data per stare a braccia conserte. Ci è data per essere vissuta. Gli impegni rallegrano l’esistenza”.
Gira ancora con la panda?
“La mia auto è la Panda, con la targa del corpo diplomatico. So che è strano, ma è così”.
Un aneddoto della sua vita da cardinale?
“Succede spesso che quando arrivo su un posto vanno ad aprire lo sportello del passeggero, ma non ci trovano nessuno, e dico: Guardate che sono di qua”.
In questi giorni ricorre anche la festa del santuario della Santa Casa di Loreto.
“Il Santuario di Loreto credo sia l’incrocio della vita dei marchigiani e comprenda in sé la loro vocazione spirituale e cristiana. Oggi più che mai dobbiamo comprendere il messaggio della Santa Casa e dobbiamo cercare di viverlo giorno per giorno. Da quel Santuario dobbiamo imparare a coniugare tante cose, a riscoprire il valore della famiglia, la preziosità dei figli, riscoprire quella che io chiamo l’obbedienza feconda. La vita è un grande mistero di obbedienza, è carica di amore e questo ce lo ricorda sempre il Santuario di Loreto”.
Entriamo nel giubileo, è possibile secondo lei cristiani e musulmani insieme per la misericordia?
“Io non conosco molto il Corano, ma so che anche lì Dio è chiamato il misericordioso. Bisognerebbe ricordarci tutti di questo. La misericordia è la parola di cui abbiamo bisogno. Qui il problema non è cristiani o musulmani, qui il problema è l’uomo, la persona umana che deve capire chi è. E non deve cedere alla tentazione dell’appartenenza sociale, politica o religiosa. L’uomo non è chiamato a nessuna supremazia sugli altri e nessuno può avere supremazia sull’uomo”.
Del vatileaks cosa pensa?
“Penso che i peccati esistano da tutte le parti, non sono i vestiti che ci salvano. Penso che anche questa indecenza debba essere un’occasione di conversione per tutti”.
di L. Ben Salah