Il Codex Aesinas, il libro più desiderato da Himmler, nascosto per anni a Jesi
Per giorni, nell’autunno del ‘43, una squadra di SS, per ordine del Reichsführer Heinrich Himmler, mise a soqquadro delle ville di Jesi, Osimo e Fontedamo (An) alla ricerca spasmodica di un manoscritto ritenuto molto importante dai vertici nazisti. Il proprietario e il suo personale di servizio riuscirono a beffare tutti nascondendo il libro in un ripostiglio. Può sembrare la trama di un film, invece è accaduto realmente.
Il manoscritto in questione è il Codex Aesinas Latinus 8, il più antico manoscritto giunto fino a noi dell’Agricola e della Germania di Tacito. Il suo nome Aesinas deriva dal fatto che fu scoperto a Jesi (Aesis in latino) nel 1902 nella biblioteca della villa del conte Aurelio Guglielmi Balleani a Fontedamo da Cesare Annibaldi, professore di latino e greco al Liceo Classico Vittorio Emanuele II, direttore della biblioteca e della pinacoteca di Jesi. A esso risalgono tutti gli altri codici oggi conservati. Il Codex Aesinas contiene la Germania in scrittura umanistica del XV secolo, l’Agricola in scrittura carolina del IX secolo e il Bellum Troianum di Ditti Cretese. Dal nord Europa il codice fu portato in Italia nel 1455 da Enoch d’Ascoli per conto di Papa Niccolò V per creare il primo nucleo della Biblioteca Vaticana, ma, fallito il progetto di acquisizione da parte della curia romana, fu smembrato, venduto a privati e per secoli si persero le sue tracce.
La Germania, ovvero il De origine et situ Germanorum, è un’opera etnografica scritta da Publio Cornelio Tacito attorno al 98 d.C. sulle trubù germaniche. In esso Tacito, che non aveva mai visitato i territori e i popoli di cui tratta, descrive le terre, le leggi e i costumi delle popolazioni barbariche al confine con l’Impero Romano, esaltandone il coraggio e la crudeltà in battaglia, la semplicità dei costumi, l’integrità morale e il rispetto dei valori. Lodando la purezza delle virtù tedesche, Tacito intendeva proporre un esempio virtuoso contro l’immoralità dilagante, la corruzione e la decadenza dei costumi romani e mettere in guardia sul possibile futuro dell’impero.
Ben si comprende, quindi, il motivo per cui la Germania divenne presto il riferimento dei sostenitori della supremazia della cultura tedesca, dagli umanisti ai nazionalisti del XX secolo, fino a divenire una sorta bibbia per i nazisti che vi trovarono la prova della purezza, dell’unicità e della grandezza della razza ariana. In particolare nel IV capitolo Tacito proclama di associarsi «all’opinione di quanti ritengono che i popoli della Germania, non macchiati da alcun matrimonio con altre genti, siano rimasti una stirpe distinta, pura e simile solo a se stessa» ed elenca i tratti che caratterizzano l’aspetto tipico tedesco: «gli occhi sono azzurri e cupi, i capelli rossi, la corporatura grande e adatta all’attacco».
Himmler, capo delle SS, capì quale formidabile strumento di propaganda potesse essere questo testo che conteneva lodi alla razza ariana scritto da un romano, anche se nella stessa opera Tacito non mancò di definire gli appartenenti alla medesima anche come ubriaconi, collerici e pronti a giocarsi ai dadi la libertà personale. Ma perché tanto interesse proprio per questo manoscritto? Certamente perché, come già detto, è il testo più antico della Germania, dalla quale provengono tutti gli altri manoscritti fin ora ritrovati, ma anche perché presenta delle varianti filologiche (oggi ritenute poco corrette) più gradite dall’ideologia nazista.
Su consiglio di Heinrich Himmler, Hitler chiese di poter avere il Codex Aesinas direttamente a Benito Mussolini, in visita a Berlino per le Olimpiadi del 1936, che glielo promise. Due anni dopo Hitler chiese di poter acquistare il manoscritto ma il Ministro dell’Educazione Nazionale Giuseppe Bottai, sentito anche il parere di una commissione di intellettuali, contrari all’esportazione del prezioso manoscritto, comunicò che il proprietario non aveva intenzione di vendere.
Dopo l’armistizio dell’8 settembre 1943, un commando di SS ricevette l’ordine di impossessarsi del Codex Aesinas: iniziò quindi una spasmodica ricerca del testo nella provincia di Ancona. Dapprima perquisì la villa della famiglia del conte Aurelio Baldeschi Balleani a Fontedamo, vicino ad Ancona, dove il manoscritto era ufficialmente custodito, devastò i preziosi arredi ma non trovò nulla. Proseguì allora a setacciare le altre due proprietà della famiglia Balleani a Osimo e a Jesi, in piazza Federico II. Il codice era proprio lì, ma i temibili tedeschi non riuscirono a trovarlo. Era stato prontamente e sapientemente nascosto dal conte Aurelio, con l’aiuto dell’autista e del maggiordomo, Giuseppe Angeletti e Riccardo Cerioni, in una cassa delle cucine del palazzo. Sembra che poi, probabilmente presi da problemi bellici più imminenti, con gli alleati che incalzavano su tutti i fronti, Himmler e i suoi fidatissimi abbiano dato ordine di sospendere le ricerche per indirizzare le forze altrove.
Le vicende romanzesche legate al manoscritto jesino sono state raccolte dal professore di Filologia Classica alla Harvard University, Christopher B. Krebs, in un volume edito in Italia con il titolo Un libro molto pericoloso. La ‘Germania’ di Tacito dall’Impero romano al Terzo Reich dalla casa editrice Il lavoro Editoriale di Ancona.
Il manoscritto rimase perciò proprietà del conte Aurelio Baldeschi Balleani che negli anni ’60 lo prestò alla Biblioteca Nazionale di Firenze dove rimase danneggiato dall’alluvione del 1966 e poi restaurato. Nel 1994, alla morte del conte fu donato dagli eredi allo Stato Italiano e da allora è conservato presso la Biblioteca Nazionale Centrale di Roma, con la sigla di Cod. Vitt. Em. 1631. Una copia in microfilm è conservata presso la Biblioteca Planettiana di Jesi.
di S. Brunori