Il valore della memoria
Vittorio Beltrami, “l’Einstein dei formaggi”
A tu per tu con Vittorio Beltrami, “l’Einstein dei formaggi”
Vittorio Beltrami è un contadino con la “C” maiuscola, uno dei pochi rimasti che possono fregiarsi di tale titolo. Perché, per Beltrami, essere contadino è un vanto e un’arte, è il mestiere che ne deriva.
Folti baffi bianchi, sguardo serio, curioso e attento, Vittorio Beltrami ci riceve nella sua gastronomia di Cartoceto. Varcata la soglia, l’intenso profumo dei formaggi caprini e pecorini esposti sui banchi ci inebria i sensi, così come i colorati barattoli di vetro contenenti marmellate e confetture di frutta e bacche di crescita spontanea, preparate dalle esperte e sapienti mani della moglie di Vittorio, Elide. Nella bottega si respira un’atmosfera d’altri tempi, piacevole, ospitale, familiare, si percepisce il sapore antico della tradizione. Fisse alle pareti spiccano le cartoline e i biglietti di auguri che i tanti clienti della gastronomia, nel corso degli anni, hanno inviato alla famiglia Beltrami, come ringraziamento per l’ospitalità e l’accoglienza con cui sono stati ricevuti. Sono due le aziende agricole che fanno capo alla famiglia Beltrami, che già dal 1870 coltivava olivi e produceva olio: si tratta del Frantoio della Rocca, situato nell’entroterra pesarese, e dell’azienda agricola Il Covo dei Briganti, a Cartoceto. Dall’amore per la propria terra nascono i prodotti Beltrami, dall’olio extra vergine di oliva con marchio DOP (denominazione origine protetta), alle marmellate e ai formaggi, conosciuti e apprezzati sia in Italia, sia nelle principali capitali europee, e non solo: Lidia Bastianich, dall’America, definisce Vittorio Beltrami “l’Einstein dei formaggi”.
Ma cosa significa, oggi, fare il contadino?
Una parola su tutte inquadra perfettamente il lavoro che Vittorio Beltrami e la sua famiglia da anni, con dedizione, cura e amore, portano avanti, e quella parola è “retroinnovazione”. Un neologismo coniato dallo stesso Beltrami, che così lo definisce: “Essere capaci di andare avanti, tenendo sempre a mente le origini, pensando a ciò che c’era prima, alla storia, alle radici”. Ecco perché il valore della memoria, punto su cui insiste Beltrami. Ma andiamo con ordine.
Acuto osservatore e indagatore delle persone che si trova di fronte, Vittorio Beltrami si lancia in un racconto spassionato sul mestiere del contadino, ma più che di mestiere si potrebbe parlare di una scelta di vita che investe a tutto tondo ogni momento della quotidianità di chi decide di dedicarsi anima e corpo alla terra. Perché c’è una sostanziale e vitale differenza tra chi la terra la vive, la assapora, la fa sua e chi, invece, la vede solo come un mezzo, un espediente utile a raggiungere un profitto.
Chi è il contadino? Come lavora? Come vive?
“Ultimamente la parola ‘contadino’ è stata svilita, a vantaggio della più moderna ‘imprenditore agricolo’, ma si tratta di due figure completamente diverse”, chiosa Beltrami. “Il contadino è un uomo che si inventa ogni giorno nella sua azienda; l’imprenditore fa solo l’imprenditore. Si potrebbe obiettare che, allora, è irrazionale quello che fa il contadino. Da dove trae i suoi benefici economici? Beh, innanzitutto, sono poche le spese che deve sostenere per cibarsi: si produce tutto da solo, frutta, verdura, carne. Quello che produce in eccedenza lo rivende e il ricavato viene investito all’interno dell’azienda. Il contadino non fa mai monocoltivazione, individua un territorio in funzione delle sue peculiarità. Riconosce le stagioni, sa dove andare a impiantare un nuovo frutteto, un nuovo uliveto. Il contadino lavora con le mani, pota, innesta, munge, concia pelli.
È un uomo che sa leggere i tempi, mosso dall’amore per la terra che calpesta e che non si fa problemi a mettere in bocca, per capire se è buona dal grado di concentrazione di sali minerali che contiene. Questo, l’imprenditore agricolo
non lo fa.
Il contadino ha passione, amore, intuito. Vive di tradizioni, di storie, di momenti. Oggi, nelle aziende agricole, tutto ruota attorno alla chimica. Ad esempio, l’estate di quest’anno è stata caldissima, con temperature anche al di sopra dei 35 gradi. Ebbene, il contadino sa che, con queste condizioni termiche, le mosche muoiono e dunque non avrà necessità di dare dei trattamenti all’interno delle stalle per debellare il fastidio che questi insetti arrecano alle bestie. Così come non ha dovuto trattare le olive: gli insetti, che nei mesi estivi infestano le campagne, quest’anno non c’erano. Il contadino rispetta le stagioni, l’imprenditore agricolo no, perché deve seguire un protocollo, deve solo vendere un prodotto, fa dei conti economici”.
Di contadini che sanno innestare piante, che non imbottiscono di ormoni animali, frutta e verdure, che sanno come far nascere un vitello o una capra, come aiutare una bestia a partorire, riuscendo perfino a medicarla, sono rimasti in pochi, sostiene Beltrami, e andrebbero tutelati raccogliendone le memorie storiche, scrivendo dei libri.
Il valore della memoria, dunque, della trasmissione della conoscenza, delle buone pratiche. Come tramandarle, però, ai giovani d’oggi?
Ragazzi che studiano sui libri, che si impegnano, certo, ma che non hanno, forse, una conoscenza diretta della vita nei campi, nelle stalle, negli orti, del lavoro all’aria aperta, con qualsiasi condizione metereologica.
“Una volta i bambini erano partecipi. Assistevano alla nascita degli animali all’interno delle stalle e così erano già educati, dalla famiglia, alla vita dei campi. Oggi non è più così. Dobbiamo, allora, dare delle motivazioni ai giovani, stimolarli. In che modo? Non so dare una risposta, ma posso fare delle considerazioni. Credo che dovremmo tornare a trasmettere dei valori all’interno del nucleo familiare. Oggi siamo sempre fuori casa, i genitori non riescono più a comunicare con i figli. Poche le famiglie che quotidianamente si riuniscono a tavola. Tanti mestieri antichi sono scomparsi. Una volta il contadino era anche macellaio; la donna, figura fondamentale nella famiglia contadina, sapeva fare la calza, era in grado di lavorare con l’uncinetto, addirittura riusciva a creare materassi. Queste conoscenze erano tramandate solo con la memoria visiva: si osservava chi lavorava e si immagazzinava mentalmente il procedimento, non si scriveva, né si leggeva. Tradizioni, mestieri, lavori che si sono persi e nessuno si è fatto promotore della loro conservazione. Ritengo, dunque, che salvare la manualità, risorsa fondamentale dell’Italia intera, equivalga a salvare la conoscenza, la nostra storia”, conclude Beltrami.
I. Cofanelli