Insetti giganti e non solo alla Casa Museo Gentiletti
Scarabei enormi si arrampicano lungo le mura di una tradizionale casa colonica, rondini in progressione si staccano dalla parete per spiccare il volo mentre grandi aironi fanno da guardia al giardino: tranquilli non è un’allucinazione, ma l’esterno della casa museo dello scultore Giovanni Gentiletti a Santa Maria dell’Arzilla, un piccolo borgo tra Pesaro e Fano.
La casa colonica, acquistata nel 1989 e trasformata in atelier dopo la demolizione del primo studio a Baia Flaminia, oggi è una casa museo in cui è possibile osservare oltre alle opere, i materiali, gli strumenti, i bozzetti e alcuni filmati che riprendono l’artista al lavoro. Le opere sono collocate in sei stanze espositive al piano terra, al primo piano e nel giardino, seguendo le indicazioni dello scultore stesso: al piano terra Superfici, Frammenti e Trittici; al primo piano, Forme Zoomorfe, Aironi e Calendari. Nell’universo dell’artista infatti non ci sono solo animali giganti, quelli che più sorprendono visitando l’esterno del museo, ma anche alfabeti immaginari, ruote pesanti che sembrano non smettere di roteare, porte che si aprono verso l’infinito e molto altro.
Giovanni Gentiletti è stato uno scultore rimasto fedele alla sua terra d’origine che ha incontrato le avanguardie artistiche e le ha fatte proprie senza piegarsi al mercato, proseguendo il suo percorso artistico personale in solitaria. Le sue opere risentono di questo continuo contatto con il pesarese, da cui si allontanava solo per pochi giorni: tra l’antico e il contemporaneo, parlano di terra e mare, di forme astratte e concrete, sfruttando tutte le cromie naturali dei metalli, dal rosso del rame e della ruggine ai grigi del ferro e dell’alpacca, dall’oro al verde del rame ossidato.
Nato a Candelara nel 1947, frequentò l’Istituto d’arte Mengaroni di Pesaro dove più tardi insegnò sbalzo e cesello nella sezione Arte dei metalli e dell’oreficeria. La sua prima passione, dal 1969, fu il rame con cui iniziò a realizzare gigantesche forme zoomorfe (scarabei, rondini in volo, aironi, ibis) prima molto realistiche e con il passare degli anni sempre più trasfigurate e fantastiche, quasi un catalogo di corazze bizzarre, becchi aguzzi e zampe uncinate: sono “presupposti plastici e cromatici per indagare staticità e movimento e lo sviluppo di forme pseudo naturaliste in espansione in uno spazio chiuso”, come ha scritto la storica e critica d’arte Jacqueline Ceresoli. Dalla fine degli anni Settanta l’artista si è dedicato anche all’oro rivelando una straordinaria delicatezza nella realizzazione di piccoli oggetti preziosi, ciondoli, anelli, collier, spille e una straordinaria capacità di lavorare i metalli pesanti quanto quelli nobili. Dal 1990 al 2008 fu chiamato da Arnaldo Pomodoro a insegnare, come docente tecnico di sbalzo e cesello, al Centro TAM (Trattamento Artistico dei Metalli) di Pietrarubbia (PU), dove frequentò personalità di primo piano della cultura italiana. Ne ricavò un forte stimolo e scambi d’idee che lo condussero verso un’arte più astratta: pose in primo piano la materia su cui sperimentò linee, forme geometriche, vuoti, spuntoni e vi incise strani e indecifrabili geroglifici. Produsse opere di piccole dimensioni, come le Lettere e i Frammenti dal Mediterraneo e più spesso di grandissime dimensioni come le Steli, le Piramidi, le Ruote, i Calendari e le Porte.
Nel corso della breve carriera artistica ha esposto le sue opere in numerose mostre riscuotendo vasto successo di critica e ha vinto numerosi premi di scultura e di arte orafa. Gentiletti è morto prematuramente a Pesaro nel 2010. Questa città lo celebra con l’opera “Nel vento del mito” due grandi vele in rame alte cinque metri poste nella rotatoria di via Cecchi, presso il porto, che ricordano Azzurra, la prima e unica barca italiana a competere nell’America’s Cup costruita nel Cantiere Yacht Officine di Pesaro. La famiglia dell’artista ha inoltre donato alla cattedrale del capoluogo il “Trittico-teca dei Santi Decenzio e Germano”, l’ultimo forziere appositamente realizzato dal maestro per contenere ciò che rimane delle spoglie dei due martiri pesaresi.
Nella casa di Santa Maria dell’Arzilla Gentiletti pare lavorare ancora oggi nel suo laboratorio, dove si respira l’odore degli ossidi e del metallo saldato, in cui sembra di sentire il battere del martello. Possiamo persino immaginare che quando la casa si svuota dei visitatori le sculture si mettano in movimento, i coni ruotino, le lastre si aprano, gli aironi spicchino il volo e gli scarabei scalino le pareti al buio.
La casa museo è stata voluta dalle tre donne dell’artista: le figlie Ilaria e Daniela e la moglie Tullia Mariotti, che ne curano la memoria accogliendo i visitatori.
di S. Brunori